Ermanno-webFino ad oggi in ciascuna delle storie di vita che ho raccolto come ghost writer, c’è sempre stata almeno una casa a rappresentare una parte importante delle vicende narrate. Qualche volta era il teatro di scena, il fondale oppure un punto d’arrivo o un luogo da cui fuggire, più spesso il rifugio a cui tornare. Per questo sono sempre curiosa di leggere i libri che parlano delle case, del loro essere presenti nelle vite degli altri e nel determinare più spesso di quanto pensiamo i loro destini.

Ermanno Bencivenga, professore di filosofia all’Università di California (Irvine) e logico di fama, con Case (Cairo Publishing) propone sei racconti che si muovono in un territorio cui siamo davvero intimamente affezionati, quello della casa. La scrittura è precisa, puntuale e avvolgente, ci conduce subito in quegli ambienti, li facciamo nostri e li sentiamo amici o nemici, a seconda del caso. La casa di proprietà è sempre stata in cima ai sogni degli italiani, ma il legame con lo spazio al di là del confine della porta che separa la vita di ciascuno di noi dalle altre, va ben oltre il vantaggio del possesso materiale di quattro mura. Lo descrive magistralmente Bencivenga fin dal primo racconto in cui alcuni arredi dello splendido salone dell’appartamento milanese dei coniugi Dadda, esprimono un carattere che travalica quello dei proprietari, “… poggiava  agguerrito un tavolo da pranzo in legno massiccio …”  cui si aggiungono altri elementi funzionali per determinare l’offerta di almeno tre diverse ipotesi di vita. Il salone in questo caso è “la cifra, l’archetipo, il paradigma” del loro mondo, il palcoscenico in cui viene esibito l’evolversi della vita familiare, il piacere, il successo anche sociale e la realizzazione personale fino al primo malessere per l’incombenza dei figli adolescenti che diventano appendici estranee e noiose, fuori posto nel salone ove tutto è perfetto.  I padroni di casa alla fine non riconosceranno neppure il limite della loro decadenza.

Case-webLa prestigiosa villa nei dintorni di Genova, il sogno di Antonietta e Raffaele Iovine reso reale grazie a un imbroglio, è solo lo strumento per favorire la scalata sociale di chi ha investito sul possesso materiale e non su se stesso, un mezzo per conquistare il rispetto degli altri e il successo sociale, comunque fasulli. Un fallimento percepito dalla coppia, ma di fatto negato di fronte al riconoscimento ottenuto dalla casa.

Volterra. L’illusione di un attimo, un deviare dal proprio sentire. Luca Spiazzi, docente di economia e donnaiolo, quasi indifferente alla vita in cui è calato, ha sempre inteso la casa di proprietà come la catena a un modello di vita stabile. Lui non ha bisogno di mettere radici, di avere una cuccia cui tornare. Mente a se stesso restando in affitto, provvisorio, dentro una normalità cui finge di non appartenere. Un giorno è tentato di cedere a una casa dentro un paesaggio. È un attimo. Ritorna subito a quell’idea di provvisorietà che lo lascia libero di partire quando vuole per un viaggio dentro un’altra vita che forse non farà mai.

Il cemento al posto dei prati e anche nel cuore. Questo, ambientato a Roma, è il racconto forse più amaro. L’appartamento superaccessoriato rende schiavo Stefano, un giovane vecchio dentro, che affronta una vita di sacrifici e rinunce per mantenere una casa che non può permettersi, una vita negata a causa della casa.

A Reggio Calabria la penna di Bencivenga dipinge l’affresco di una società isolata, ormai in rovina. I nobili padroni di una storica dimora, chiusi in un ottundimento definitivo che preclude qualsiasi possibilità di salvezza, soccombono. I giovani di solito se ne vanno, fuggono perché non hanno altra scelta. Chi resta, come Pina, all’inizio una donna vitale e piena di attese, finisce divorata dalla casa patrizia. Infatti, acquisito il titolo di Donna Pina le verrà negata la possibilità di un riscatto e finirà per consolarsi con il cibo, inghiottita dal lato oscuro della casa. Il palazzo, come le case dei racconti precedenti, attende di tornare a nuova vita andando oltre chi in passato gli fu padrone. Vincono le case, quasi sempre.

Nel racconto che chiude la raccolta c’è una casa che perde la partita. Narra la storia di Demetrio, un emigrante che ha lasciato l’abitazione ereditata dal padre a San Giovanni in Fiore, un paese della Sila. Per Demetrio la casa, costruita dal genitore come segno di riconoscimento della propria fortuna presso i compaesani, è una prigione. Allora lui sceglie la libertà, emigra a New York e va ad abitare in un sobborgo di Queens. Lascia indietro l’edificio che si degrada lentamente e di cui resteranno a imperitura memoria solo gli infissi di alluminio. A Demetrio va il merito di una scelta coraggiosa che lo porterà a vivere nel bene e nel male “fuori di casa”. Infatti, non ne avrà mai una intesa nel senso italiano, e non solo, del termine.

 

 

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