Il cielo è chiuso da ombre pesanti che forse romperanno in un acquazzone, il lago è deserto, nonostante l’afa. Sono a Gavirate, sul lago di Varese. Mi addentro in un giardino acerbo, dove macchie colorate si alternano a un verde profumato di salvia, timo, rosmarino… Qui tutto è nuovo, una promessa con ottime intenzioni. Salgo lenta la rampa d’ingresso al chiosco, frugo in giro con gli occhi. Vedo Barbara prima che lei veda me, un’amicizia lunga oltre vent’anni e, in mezzo a tutto, sconquassi e divertimento. Ce ne sarebbero di storie da raccontare.
Resto ferma sotto l’arco di rose, la spio mentre lei è indaffarata dietro il bancone del bar: si muove con grazia, i lineamenti fini, i capelli biondi puniti in una coda scomposta.
Un pomeriggio di tanti anni fa, l’ho quasi investita con la mia Fiat Uno arancione. Era comparsa dietro una curva, in mezzo alla strada, la chioma sciolta sulle spalle, la faccia seria e le lacrime a cascata nonostante cercasse di negare il pianto.
«Che cavolo fa, lì in mezzo? È pazza?» avevo gridato dal finestrino. Lei era rimasta immobile.
Ero scesa dall’auto, mi ero avvicinata: «Scusi, cos’è successo?» Non osavo toccarla.
«Edoardo» aveva sussurrato. «È scappato.» Un’altra auto aveva cominciato a strombazzare. Avevo spinto la donna sul marciapiedi.
«Edoardo?» avevo ripetuto senza capire.
«Sì, il mio cane, un labrador.» Barbara era scoppiata in un pianto dirotto, mentre io già organizzavo un piano d’azione, una battuta di caccia con l’idea di allargare man mano la zona di ricerca, muovendoci in cerchio. L’avevo visto fare in qualche film.
Eravamo state in giro un paio d’ore, sempre più disperate. Stavamo per rinunciare quando abbiamo visto il senso mosso di un’onda di pelo dorato dentro il cortile di una ditta. Era Edoardo. Non era solo. C’era una bastardona pezzata con lui, aveva l’occhio soddisfatto e il mantello spettinato. Non abbiamo mai saputo cosa sia successo tra loro. Edoardo era un signore, si è portato il segreto nella tomba, qualche anno fa.

Share: