Sole, mare, caldo. È ora di pranzo, molti cercano di occupare un posto in uno dei tanti locali che si affacciano sulla piazza. Scelgo un bar minuscolo, con l’ultimo tavolino libero immerso in una macchia d’ombra, ordino un kebab e dell’acqua minerale. Mi stiro, scricchiolo, mi sono svegliato da poco. Mi è sempre piaciuto dormire fino a tardi, passare lentamente dal sonno alla veglia, inoltrarmi con cautela in ore già mature, spostando il baricentro del mio tempo la sera, per entrare nella notte. Ah, le mie notti. Una volta erano intense, frenetiche…
Un anziano attraversa lo spazio davanti al locale, fa il gesto di suonare un violino e canticchia a mezza voce, poi allunga la mano sporca. Non suscita pena, ma fastidio e disgusto.
«Ehi, tu. Cosa suoni?» chiedo.
«Sono un compositore» farfuglia in un francese biascicato. «Dammi qualche soldo. Ho fame.» Parla rivolto a tutti e a nessuno. Ha barba e capelli incolti, gli occhi rossi, la faccia gonfia di chi beve. Riconosco i segni. Gli chiedo di raccontarmi la sua storia.
«Sono un compositore. Suonavo, dirigevo, anche.»
«Il violino? Suonavi il violino?» Qui si impappina, lo sguardo perso, le braccia abbandonate lungo i fianchi. Adesso è in un altrove, io lo so.
«Hai fame?»
«Sì. Dammi qualche soldo.»
«Ti offro kebab e Coca Cola. Siediti qui con me.» Ripeto più volte l’invito. Il vecchio è incredulo, poi si convince, accetta. Qualche avventore mi fissa contrariato. Il padrone del locale viene verso di me, lo scontento dipinto sul viso.
«C’è qualcosa che non va?» lo prevengo. «Il signore è mio ospite.» Chiudo la questione e ordino.
«Non vuoi del vino? Tu non bevi?» Il violinista insiste, seduto davanti a me. Forse non è poi così vecchio, potrebbe avere la mia stessa età. Potrei essere io allo specchio.
«No. Solo acqua. Alcol spero mai più. Anche tu dovresti darci un taglio. Mi sembri al capolinea.»
Lui abbassa gli occhi, la curva delle spalle è quella di un vinto. Purtroppo ho fatto centro.

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