Vivo un rapporto contrastato con i social, li pratico quasi sempre con piacere e sono utili al mio lavoro di ghost writer. Talvolta “esserci”, invece, comporta anche con un pizzico di fatica. Mi è capitato di fare ottimi incontri sul web, così come a volte succede per un caso nella vita di tutti i giorni, ma ogni tanto svolti l’angolo e sbatti contro un cretino. Fa parte del gioco.
Ecco l’ennesima notifica da Facebook a un gruppo chiuso e ben selezionato, composto da persone che condividono gli stessi interessi. L’ultimo invitato ci conosce di persone e tuttavia risponde fuori dai canoni della buona educazione: «Scusate, chi siete? Cosa volete, di preciso?»
Eppure sai benissimo chi siamo. Perché questa scortesia?
Mentre leggo la tua risposta ti immagino stravaccato davanti al computer, un giovane invecchiato male, trasandato.
Simpatico come una cicca tra i capelli.
Di lì a un minuto una cara amica conia una diversa comparazione, altrettanto efficace, e me la manda in privato. Ti definisce piacevole come la sabbia nelle mutande.
Di certo non hai esordito a caso, l’effetto antipatia è voluto. Non so perché e neppure m’interessa, però m’infastidisci. Ti dedico altri cinque minuti di riflessione. Sto cercando l’idea per un post da cazzeggio da collocare a metà settimana e… Sì, ci può stare, ho deciso che ti uso anche se non c’è alcuna morale.
Due parole tanto per dire, per riempire lo spazio sulla carta, chiacchiere da dimenticare subito, prima ancora d’arrivare al punto.
Un post è un post, può essere serio o una scemata.
Senza lode e senza infamia.

 

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