Ho visto solo ora La mia classe, regia di Daniele Gaglianone, uscito nel 2014 e di cui non avevo sentito parlare. La trama è presto detta: un maestro insegna a degli extracomunitari. Nel corso del film le riprese si fermano e poi riprendono con la troupe che inteargisce con gli studenti. La narrazione inizia mostrando le fasi di produzione del film stesso, con uno stuolo di fonici che predispongono la scena e sistemano i microfoni per una classe di studenti composta solo da migranti: provengono da tutto il mondo, sono in quella scuola per imparare l’italiano, o almeno per impararlo meglio, per avere il permesso di soggiorno e per integrarsi nella società italiana, non sono attori professionisti. Nel ruolo del maestro c’è il bravissimo Valerio Mastrandea. Si tratta di un film scomodo, uno di quelli che ti sbattono in faccia una realtà cui di solito la maggior parte di noi si limita a voltare le spalle, facendo finta che non esista. Eppure, in questo film non si sfugge al fare i conti con gli sguardi e i racconti di queste persone, uomini e donne come noi,  che un destino straziante ha condotto nel nostro Paese e che noi ci limitiamo a osservare, quasi indifferenti. Nel corso del film fatichi a distinguere il vero dalla finzione tanto che, alla fine, non sai dire se uno dei momenti chiave, quello in cui a uno studente arriva la notizia che deve essere rimpatriato senza appello, sia vera o meno. In questo punto si interrompono le riprese, interviene il regista, dice che si tenterà di fare qualcosa, ma poi si perdono le tracce del poveretto, disperso nel fiume dell’umanità disperata senza possibilità di riscatto. E c’è Valerio Mastrandea che sbotta: “Quello che facciamo noi non serve a un cazzo!” e ti sembra che proprio non stia recitando, poi il regista e la troupe, tutti insieme, decidono di riprendere a girare.
Questo è un film strano, coraggioso, pensato per risvegliare le coscienze e per richiamare all’impegno civile. È un buon tentativo per parlare alla gente senza indurre in facili sentimentalismi, tuttavia di questi tempi nessuno vuole vedere, ascoltare, leggere lo stato del presente e la società civile trova comodo credere che tutto sia finzione o che, alla fine, non ci riguardi da vicino.

 

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