Dopo la presentazione del libro La bambina con il fucile, fatta a Udine il 10 marzo, ho deciso di trascorrere qualche giorno a Trieste, una città che mi ha conquistato per il contrasto tra il suo aspetto, ordinato e rigoroso, distribuito in architetture precise, eleganti e ben mantenute, cui si aggiunge l’emozione degli odori trasportati dal vento, definiti dalle pennellate di colori luccicanti, che brillano nell’aria fina. I vecchi vicoli che salgono verso la periferia, la zona pedonale che si apre in grandi slarghi, i locali, le belle piazze e poi lei, Piazza dell’Unità d’Italia, che la sera diviene ancora più suggestiva con le luci soffuse di blu, tutto contribuisce a muovere la fantasia e molto pesa anche che Tieste sia una città di confine, crocevia di culture diverse. La “città dei matti e degli scrittori”, sono nati qui Svevo e Umberto Saba, ha ospitato James Joyce e, per una decina di anni anche Franz Kafka, non lascia indifferenti, muove l’anima e i pensieri, produce una sana confusione e capisci perché qui, più che altrove, la creatività sia sollecitata a imboccare nuove e misteriose strade.
Con Tina abbiamo soggiornato in un accogliente hotel letterario, il Victoria, situato in un palazzo in cui ha vissuto Joyce che proprio qui ha concepito l’Ulisse. In camera ci aspettava una selezione di una decina di titoli. Indovinate cosa ho letto nel primo libro che ho aperto?
Il canto d’amore di Saba alla sua città.

Trieste di Umberto Saba, dalla raccolta “Trieste e una donna” (1910-12),

“Ho attraversato tutta la città.
Poi ho salita un’erta,
popolosa in principio, in là deserta,
chiusa da un muricciolo:
un cantuccio in cui solo
siedo; e mi pare che dove esso termina
termini la città.

Trieste ha una scontrosa
grazia. Se piace,

è come un ragazzaccio aspro e vorace,
con gli occhi azzurri e mani troppo grandi
per regalare un fiore;
come un amore
con gelosia.
Da quest’erta ogni chiesa, ogni sua via
scopro, se mena all’ingombrata spiaggia,
o alla collina cui, sulla sassosa
cima, una casa, l’ultima, s’aggrappa.
Intorno
circola ad ogni cosa
un’aria strana, un’aria tormentosa,
l’aria natia.

La mia città che in ogni parte è viva,
ha il cantuccio a me fatto, alla mia vita
pensosa e schiva.

 

 

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