Non ricordo da quanto tempo non leggevo un romanzo così bello, intenso, commovente, profondo, pieno di energia e… potrei andare avanti all’infinito. Ne La vita davanti a sé, pubblicato nel 1975 e ambientato nella Parigi degli anni ’70, Romain Gary descrive Belleville con vent’anni d’anticipo su Pennac e lo fa in un modo unico e strepitoso. Il libro racconta la storia del piccolo Momò, dall’infanzia fino all’adolescenza, una esistenza difficile; il bambino è un “figlio di puttana” dato in custodia a una ex prostituta in pensione, Madame Rosa, un’ebrea scampata al campo di concentramento che sbarca il lunario ospitando a casa sua, dietro compenso, i figli delle colleghe ancora in attività. Momò è arabo e prende coscienza di ciò quando inizia a frequentare i suoi coetanei: “Per molto tempo non ho saputo che ero arabo perché non c’era nessuno che mi insultava. L’ho saputo soltanto a scuola.”
Il libro, scritto in prima persona, è scorrevolissimo, la scrittura interpreta alla perfezione la voce del bambino. Momò è un ignorante per condizione, elemento sottolineato dalle frequenti sgrammaticature in un linguaggio un po’ inventato, intelligentissimo e sensibile, capace di uno sguardo sul mondo davvero profondo. Egli vive immerso in un contesto inaccettabile per le persone comuni, allora come oggi, tuttavia si adatta a una realtà durissima e compensa le brutture di cui è circondato attingendo ad un senso di candida umanità e sa trovare il lato positivo in ogni cosa. Mi ha stupito vedere affrontati in questo libro una serie di temi ancora oggi considerati tabù come quello legato alla vecchia e all’eutanasia. Il piccolo Momò porge i suoi pensieri rispetto ai temi universali dell’esistenza in modo efficace e sempre misurato. Il suo racconto non è mai volgare anche quando parla, senza usare eufemismi inutili, di aspetti molto crudi della vita, del declino che prima o poi induce vergogna in chiunque. Il ragazzino “figlio di puttana” restituisce a noi tutti una dignità che molti non meritano.

Il libro è un affresco di citazioni, qui ne riporto alcune:

“Per molto tempo non ho saputo che ero arabo perché non c’era nessuno che mi insultava. L’ho saputo soltanto a scuola.”

“I ragazzi che si bucano diventano tutti abituati alla felicità.”

“La vita non è mica una faccenda per tutti quanti.”

“La vita può essere molto bella, ma non è stata ancora veramente scoperta e intanto bisogna pur vivere.”

“La gente riesce a credere a quello che dice, le serve per vivere.”

“La felicità è nota per la sua scarsità.”

“La tristezza non bisogna andarsela a cercare.”

“La medicina deve avere l’ultima parola e lottare fino alla fine per impedire che si faccia la volontà di Dio.”

“I vecchi valgono come tutti gli altri, anche se calano. Sentono quello che sentiamo voi e io e certe volte questo li fa soffrire ancora più di noi perché non si possono più difendere.”

 

La vita davanti a sé di Romain Gary (pseudonimo di Roman Kacew), uscì la prima volta in Francia nel 1975 sotto lo pseudonimo di Émile Ajar e vinse il premio Goncourt; nel 1977 ispirò un film con lo stesso titolo. In Italia è edito da Neri Pozza, traduzione di Giovanni Bogliolo.

 

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