Da diversi giorni mi ritrovo squassata da una tosse incessante unita a un picco di raffreddore che mi fa assomigliare a una fontana. I rimedi omeopatici che mi ha propinato il farmacista non sono serviti a niente; fossi ricorsa subito a una soluzione chimica, forse avrei risolto il problema. Mi doveva capitare proprio adesso, in piena estate, di essere malata il sabato in cui era previsto il matrimonio di una persona molto cara! Vedi com’è il destino?

In mezzo al movimento frenetico che precede un evento di questa portata, con dentro me un po’ scassata in qualità di testimone della sposa, mi sono comunque data da fare per tempo. La cerimonia era organizzata in una chiesetta di montagna abbastanza vicina a dove ho casa anch’io. Una vera fortuna per me, che ho evitato di arrivare all’evento fradicia di sudore e spiegazzata dai vapori bollenti di Milano. Fossi stata in forma mi sarei goduta di più sia i preparativi sia la funzione, fissata per l’ora del tè, e poi la festa. Ho trascorso la mattinata a farmi di sciroppo per la tosse, con scarsi risultati; a pranzo ho mangiato solo frutta, pensando al delirio di cibo che avrei ingollato a cena, con torta a finire. Ho iniziato a prepararmi un quarto alle quattro, indossando l’abito verde salvia spento che avevo scelto con grande anticipo, ad aprile, dopo contorti ragionamenti sul clima, sui colori di contorno alla scenografia, e su come tutto quanto avrebbe potuto armonizzare con il colore dei miei capelli (perché accordare una testa rossa con il resto del mondo non è cosa banale, lo garantisco). Sistemato trucco e parrucco, ho avuto il coraggio di indossare delle scarpe con i tacchi alti e mi sono sentita davvero fuori posto, dentro un panorama agreste con le mucche intente a brucare a non più di trenta metri dalla recinzione del mio giardino. “Potrò resistere per qualche ora?”, mi sono domandata mentre mi fissavo i piedi infilati nelle decolleté aperte in punta, che già sentivo strette. La risposta è arrivata chiara e forte: “No!”. Ho preso i sandali, quelli carini, con la zeppa così comoda, i cinturini collaudati che non fanno male e li ho infilati in un sacchetto, uno della Feltrinelli che tanto lo sanno tutti che vado in giro sempre con dei libri. In mano reggevo la stupida borsina adatta all’outfit, come usa dire, in cui ero riuscita a stipare solo pochi pacchetti di kleenex, il minimo sindacale per un raffreddore. Sono uscita di casa in un momento in cui avevo patteggiato una tregua con la tosse, la bocca piena di pastiglie.

Arrivata in chiesa con il dovuto anticipo, ho occupato il posto d’onore della testimone della sposa. Mi sentivo quasi bene, eccitata com’ero per l’attesa della mia pupilla. Me la ricordavo bambina e adesso… E quanta gente era venuta a festaggiarla, tanti ragazzi in tenuta da bella gioventù. Ho lanciato uno sguardo al sant’uomo che da decenni condivide la sua vita con me. Anche noi, un giorno lontano abbiamo percorso la navata di una chiesa. Io ne avrei fatto a meno, volevo convivere, ma erano altri tempi e mi sono adattata per non farne un caso di stato con le famiglie. Però mi sono voluta sposare di giovedì e quarant’anni fa, quando ci si sposava solo di sabato, era stata quasi una rivoluzione. Ecco, lo sposo era arrivato. Che bel ragazzo! Qualche minuto dopo è partita la musica, in sincrono con le prime lacrime della madre della sposa. Subito dopo, è arrivata lei, al braccio del padre, e lì mi sono commossa anch’io. Che meraviglia di ragazza! Con il cuore gonfio d’affetto le auguravo, in silenzio, tanta, tanta felicità. La cerimonia è iniziata e la tensione è calata. Ho sbirciato la platea pigiata tra i banchi delle piccola chiesa; gli invitati sorridevano rilassati, o piangevano rilassati, o stavano impassibili rilassati. C’era anche chi stava lì, a invidiare gli sposi, rilassato.
Mi sono rilassata anch’io e il naso ha ripreso a gocciolare. Ho recuperato un kleenex mentre pensavo alla sposa e che la sua gioia era anche la mia. Tanti scatti per immortalare la scena, un film-maker incaricato di registrare l’evento, nulla era stato lasciato al caso e tutto andava per il meglio. La sposa era radiosa e ci avvicinavamo al momento fatidico, quando… un mio fragoroso starnuto, una specie di benedizione, è arrivato proprio sul suo “Sì”.

 

 

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