Di recente si è fatto un gran parlare dei mestieri che ruotano attorno al libro. Libreriamo, ad esempio, ha pubblicato un elenco che comprende lavori vecchi e nuovi, in cui non è stata citata la figura fondamentale del ghostwriter, come ho fatto notare qui. In questa lista il ruolo dello scrittore è in qualche modo ridimensionato, infatti non è al primo posto come mi sarei aspettata. Al contrario, altrove ho notato un rinnovato interesse per il ruolo dell’editor, una figura professionale in piena evoluzione. In un articolo uscito su Il Libraio Giuseppe Strazzeri, direttore editoriale della Longanesi, spiega che oggi per fare l’editor “occorre navigare con coraggio nell’orizzontale vastità del contemporaneo, tanto più quanto ci inquieta o ci ispira avversione” e che un editor deve “setacciare costantemente le fonti della creatività contemporanea alla ricerca di nuovi testi da pubblicare”. Sono d’accordo: è giusto guardare al presente senza inutili recriminazione sul passato. È più interessante, e anche utile, puntare l’attenzione sulle fonti creative in cui a volte, cito sempre Strazzeri. “il medium può essere il messaggio (You Tube), o in cui il messaggio comunque risente, stilisticamente e contenutisticamente, delle modalità di fruizione (blogging, web series, Wattpad, comics…)”. Detto ciò, per il godimento dei prodotti editoriali, nuovi e vecchi, occorre conquistare l’attenzione dei lettori che nel frattempo si sono trasformati in “lettorispettatoriascoltatori perennemente connessi e sollecitati”. L’impresa è ardua. La varietà dell’offerta, libri, cinema, televisione, social e tutto ciò che la rete offre, determinano le difficoltà della sfida, in più occorre fare i conti con l’impreparazione di una larga parte dei potenziali lettori alla fruizione di un testo lungo e minimamente complesso.
Torniamo ai nuovi autori che oggi scrivono impiegando anche codici espressivi che si rifanno alla rete, al cinema e alle serie televisive. Per decodificare il linguaggio che spesso utilizzano per imbastire una storia, l’editor deve allargare il proprio bagaglio di competenze a molte forme della comunicazione, diverse dalla letteratura. Inoltre, alcuni autori sono carenti nella lingua e nello stile al punto che, rileggendosi, non riescono a spiegare all’editor quale concetto abbiano inteso esprimere. Questi forse sono casi estremi, ma non così rari; del resto non è infrequente incontrare degli aspiranti autori che siano dei lettori scarsissimi, quasi assenti. Per costoro l’editing può diventare una sorta di accompagnamento alla riscrittura.
Il linguaggio sta evolvendo e forse, in un futuro non lontanissimo, un libro che racconti una storia sarà altra cosa da ciò che è oggi. Tuttavia, resta il fatto che alcuni aspiranti autori sono “sguarniti dal punto di vista di lingua e stile” perché non si sono formati per esercitare il mestiere dello scrittore, hanno saltato il passaggio dell’acquisizione delle competenze di base. Molto di ciò che viene fatto oggi si fonda sull’improvvisazione, e non solo nell’ambito letterario, e non ha nulla a che vedere con la sperimentazione di qualcosa di nuovo. Se gli aspiranti autori non si impegneranno per imparare il mestiere, resteranno per sempre hobbisti della penna e scrittori a metà. Per portare a termine un’opera non potranno prescindere dalla collaborazione con un editor, e questa deve essere una regola che vale per tutti, ma dovranno accertarsi che sia molto competente e bravo; talvolta dovranno ricorrere a un ghost writer, e anche costui dovrà essere molto competente a bravo, perché ormai queste due figure professionali saranno indispensabili a chi abbia l’ambizione di scrivere per arrivare a produrre un libro. Infatti, proprio il “ribasso” delle competenze autoriali esige un accompagnamento alla produzione letteraria che, a seconda dei casi, può arrivare a smarginare dall’editing alla riscrittura, alla scrittura.
Se l’aspirante autore è colui che “ha l’idea” di una storia, ma possiede solo in parte o non possiede per niente gli strumenti per poterla sviluppare e comunicare al suo pubblico, uno dei percorsi possibili per il futuro sarà la scrittura condivisa, come regola, tra l’autore che diventa tale grazie all’editor, e se serve, anche grazie al ghost writer. Del resto il mio metodo di lavoro, lo stesso che molto in sintesi vale per il ghostwriting, è già questo da tempo: un narratore mi racconta la sua storia, io la scrivo trasformandola in un romanzo, poi mi confronto con l’editor.
Lo scrittore inteso come artista che, disponendo delle competenze e del talento necessari, lavora in solitaria alla sua opera, forse è davvero un esemplare in via di estinzione.
Immagine web dal film The ghost writer di Roman Polanski, 2010
Ciao Alessandra,
il tuo articolo tocca alcuni temi su cui rifletto e discuto da diverso tempo, sia per esigenze legate al mio lavoro di redattore/editor di testi scolastici, sia per la mia personale passione per la narrativa.
Il problema che sollevi mi sembra reale, la soluzione mi convince meno. Premetto che la distinzione tra un autore che ha l’idea e un editor/ghostwriter che la realizza non mi sconvolge, né mi sorprende. Nel mio settore lo vedo capitare tutti i giorni ma, soprattutto, mi sembra ricalcare quanto avviene nel cinema, fin dagli albori, tra soggettista e sceneggiatore. Una ripartizione di compiti che ha prodotto in questo secolo, per nostra fortuna, molti capolavori. Da tempo propendo per riproporla anche nella narrativa. Riconoscere il valore economico di un’idea narrativa originale al pari di quello della realizzazione dell’idea stessa da parte di un soggetto con le competenze necessarie. Avremmo da una parte il soggettista, dall’altro lo scrittore: entrambi riconosciuti espressamente all’interno dell’opera, proprio come avviene con i prodotti cinematografici. Ciò consentirebbe a mio avviso anche al ghostwriter di ottenere un riconoscimento espresso: uscire dalla sua dimensione “ghost” ed essere considerato come autore a tutto tondo.
Forse mi spinge verso una soluzione di questo tipo la mia natura di docente, che mi fa storcere il naso di fronte a quella che sembra una delega di competenze dall’autore verso altre figure che dovrebbero comunque restare di supporto. L’editor in primo luogo.
Se un editor o un ghostwriter devono essere – come giustamente affermi – competenti e bravi, perché non dovrebbero esserlo gli autori? Un autore competente e bravo, in grado di produrre buone storie indipendentemente dal medium utilizzato, aiuterebbe a risolvere anche il problema costituito dalla “impreparazione dei potenziali lettori alla fruizione di un testo lungo e minimamente complesso”. Questa affermazione è sicuramente vera per la generazione dei nativi digitali, che usano il cellulare e il linguaggio dei social in modo compulsivo, e la cui capacità di attenzione e rielaborazione è francamente sconfortante. Il mondo dei lettori è tuttavia ancora sufficientemente vasto da comprendere anche persone capaci di apprezzare una storia lunga e complessa, purché sia buona. La stessa serialità televisiva, quando è ben fatta, come nel caso di “13” o di “Stranger things”, solo per citare due esempi, è in grado di tenere desta l’attenzione proprio dei nativi digitali per un tempo lungo anche se frammentato. Sono le buone storie che dobbiamo tornare a produrre, e tornare a concentrarci sulla formazione di buoni autori o, meglio ancora, di buoni narratori piuttosto che trovare il modo di sostituirci ad essi. Sarebbe un modo per consentire a ciascuno di rendere al massimo in ciò che sa fare meglio e di riconoscere il valore di due momenti ugualmente importanti nella produzione artistica (e scientifica): l’invenzione da un lato, la realizzazione dall’altro.
Scusa la lunghezza. In bocca al lupo per il tuo lavoro,
Gianluca
Grazie, Gianluca, per il tuo contributo. Trovo interessante il tuo valutare in parallelo l’iter di produzione in ambito cinematografico con una nuova modalità letteraria che metta in campo un team composto dal soggettista (una variante dell’autore) e dal ghostwriter. Il riconoscimento dovuto di cui parli, non riguarda il credito letterario a favore dello scrittore fantasma, quello c’è già per alcuni. Per esempio, da qualche anno il mio nome è sulla cover dei libri che scrivo come ghost e ciò rappresenta un valore aggiunto per i miei narratori che altrimenti dovrebbero tentare la strada della pubblicazione come esordienti. Quello che conta è che tale modalità venga riconosciuta e accettata in ambito letterario da coloro che storcono il naso di fronte a una produzione a più mani, in cui lo scrittore professionista percepisce un compenso per il suo lavoro. Di solito costoro non conoscono il ghostwriting, non sanno che competenze richieda e cosa comporti e sono gli stessi che magari osannano testi “scarsi” per forma e contenuto, scritti da qualcuno che appartiene o entra a far parte del solito giro. È il vecchio che avanza, infatti ancora oggi c’è chi sta sul mercato non per la qualità del proprio lavoro, ma per la qualità delle proprie relazioni. Il discorso sulla formazione vale per pochi. Oggi molti aspiranti autori vogliono solo il nome in copertina senza assumersi l’onere di imparare il mestiere di scrittore e neppure quello di leggere, i risultati sono evidenti. Tu affermi che “Il mondo dei lettori è tuttavia ancora sufficientemente vasto…”, non da noi; le statistiche e l’andamento del settore sono da pianto e i dati dimostrano che continuiamo a retrocedere. Questo è un ambito in cui tutti sono refrattati ai cambiamenti, invece a me piace guardare avanti. In futuro saranno pochissimi gli scrittori in grado di scrivere un libro decente da soli, salvo l’apporto di un editing classico sempre utile, e saranno pochi anche i lettori in grado di arrivare a leggere un testo di più di cento pagine, tenendo il timone della storia. Forse condividere dei progetti di scrittura tra più soggetti, diverrà un percorso obbligato. Grazie per la tua attenzione. Susanna (non Alessandra).
Una domanda ingenua. Ma se uno scrittore non ha gli strumenti, la competenza e la cultura per esprimersi, in che senso è scrittore? Solo perché ha scribacchiato una storiella “originale”? Deve proprio ogni pivellino sgrammaticato essere considerato e trattato da scrittore?
D’altra parte, se il lavoro di riscrittura viene svolto da un ghostwriter, che quegli strumenti possiede, perché allora quest’ultimo non scrive in proprio?
Immagino che la questione sia complessa, e forse non so stare al passo coi tempi. Ma ricordo che tutti i capolavori della letteratura, e non solo quelli, sono frutto dell’ingegno di un solo autore. Al massimo si correggevano i refusi. Possibile che oggi, per i libricini usa e getta, occorrano tante mani? Mi scuso per l’irruzione nel presente!
Caro Gerardo, io per prima mi domando perché squadre di non scrittori, persone prive di qualsiasi strumento adatto alla scrittura, in qualche caso sprovveduti che “hanno fatto male le elementari” vogliano fare gli scrittori. Viviamo tempi in cui i dilettanti vanno allo sbaraglio e non temono il ridicolo. Di questo dobbiamo prendere atto.
Riguardo al secondo punto, il ghostwriter può scrivere anche in proprio, perché no? In questo Paese però, non conviene, nessuno legge, gli scrittori fanno la fame e le stagioni non sono più quelle di una volta. A parte gli scherzi, io scrivo anche storie mie e faccio lo scrittore fantasma per mestiere. Gestisco il mio lavoro scegliendo le storie e i narratori (che si rivolgono a me perché sono consapevoli di non essere scrittori); è un’attività molto complessa, ma per me è il mestiere più bello del mondo.
Per quanto riguarda i capolavori frutto dell’ingegno di un solo autore, ti devo disilludere; la figura del ghostwriter non è nata di recente. Hai presente “I tre moschettieri” , per esempio? Dumas si è fatto aiutare per quello e per altri libri dallo scrittore fantasma dell’epoca. Se vuoi saperne di più naviga questo sito nella sezione “Scritture e scrittori”. Grazie di avere commentato il mio post.