Tra qualche giorno inizierà Ricordo e scrivo, il primo laboratorio di scrittura autobiografica-terapeutica, ideato e curato da me e da Clara Pepe, che mette in campo il punto di vista della scrittrice/ghostwriter e quello della psicoterapeuta. Il nostro obiettivo è offrire ai partecipanti gli elementi di base per scrivere di sé regolando le emozioni attraverso un percorso autobiografico consapevole, per arrivare a una scrittura in grado di procurare benessere. Sono curiosissima di conoscere le persone con cui avremo il piacere di lavorare ripescando ricordi, muovendo emozioni, traducendo su carta frammenti di vissuto che appartengono al passato di ciascuno e spesso rimandano a esperienze simili, a volte universali perché riguardano tutti, ma sempre uniche e originali nel modo in cui ciascuno le ha vissute.

Come iniziare a muovere i ricordi? I modi sono tanti. A me basta concentrarmi su due parole, mi ricordo…, per mettere in movimento la mia personale macchina del tempo. In qualche minuto posso spalancare le porte ai ricordi, vecchi o recenti che siano; subito una marea di immagini inizia a invadere la mia mente. L’intensità di certe emozioni contribuisce a scremare ciò che è più urgente portare a galla nel preciso momento in cui esploro la memoria. Ogni tanto mi capita di ritornare a momenti che credevo perduti, frammenti di un quadro che mi appartiene, ma che non guardo da tempo. Sono quelli che chiamo i miei ricordi in disuso, istantanee piccole e, a volte, molto care. E già con questo semplice esercizio di richiamo dei ricordi, inizia il lavoro autobiografico.

“Mi ricordo… Quando ero piccola, durante l’estate trascorrevo le vacanze in Versilia, a Fiumetto. Io e mamma soggiornavamo alla pensione Gli Oleandri in una bella camera con una grande terrazza circolare. Le notti erano intrise di umidità, tuttavia ci piaceva dormire con le finestre socchiuse per godere dell’aria carica del sentore dei pini; somigliava un po’ a quello dell’aerosol cui mi obbligava mia madre in inverno, quando avevo mal di gola. Mi addormentavo ipnotizzata dal frusciare dei rami e la mattina mi svegliava un grido di donna, sempre lo stesso ogni giorno. La sconosciuta lanciava nell’aria il tormentone più e più volte: “Pesceee. Pesceee frescooo”. La sua voce si propagava nella via e saliva fino al primo piano, attraversava il terrazzo, entrava dalla porta finestra e, sfiacchita ma nitida, approdava sopra il mio letto. Io sorridevo. Di lì a poco avrei fatto colazione e poi sarei andata alla spiaggia”.

Nella foto la Versilia alla fine degli anni Cinquanta, la spiaggia di Fiumetto, io e la mia mamma con il cagnone finto con cui i fotografi arrancavano sulla rena, sotto il sole, per vendere i loro servizi.

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