Conoscete Maeve Brennan? Io leggo molto per piacere e per il mio lavoro di scrittore fantasma. Sono felice di avere incontrato la scrittura senza tempo della Brennan anche se è di quelle che mi fanno pensare che dovrei posare penna e mouse, cambiare lavoro e limitarmi alla lettura. Infatti qualsiasi scrittore, se dotato di un minimo di autocritica, dovrebbe inchinarsi al cospetto di Maeve. Avevo già conosciuto questa autrice parecchio tempo fa con la lettura de La visitatrice, forse il suo libro più famoso, ora per un caso fortunato mi è capitata tra le mani la raccolta di racconti Il principio dell’amore, storie scritte tra il 1962 e il 1972 e pubblicate in origine sul “New Yorker”; il libro, uscito con una bellissima prefazione di William Maxwell, esprime una scrittura che definisco formale, o forse sarebbe più corretto dire tradizionale, in ogni caso estranea ai cambiamenti in atto al tempo in cui l’autrice scriveva. Questi racconti sono speciali nel modo in cui narrano le storie di coppie assai complesse i cui rapporti non sono mai decollati, vite ferme al palo senza alcuna possibilità di evoluzione, incapaci di ribellarsi alle convenzioni sociali e religiose e di cercare una qualsiasi forma di riscatto. L’amore è un’illusione, una scintilla subito spenta, poi le unioni descritte dalla Brennan si sgretolano e sopravvivono tra i ricordi e abitudini morbose, divise da muri impossibili da abbattere. Le donne respirano senza vivere dentro case piccole e soffocanti, si consolano con giardini grandi come fazzoletti e accudiscono i bambini o rimpiangono i i più grandi che hanno abbandonato il nido. A loro volta i mariti respirano senza vivere quando sono fuori casa e spendono l’esistenza in un dialogo perpetuo e inutile con se stessi.

Le citazioni:

“... guardando le facciate delle case per capire  quale fosse quella in cui aveva vissuto con Rose, vide loro tre come si erano  ritovati là quella sera,  ma l’unica parola che gli venne in mente fu agonia. Non fece che pensare agonia, agonia, agonia, mentre guardava le tre figure a qualche porta e più di trent’anni  di distanza, e le guardò finché la vista non gli si annebbiò e gli occhi  gli si riempirono di lacrime“.

Avrebbe preferito essere senza speranze, e sapere di non avere alcuna possibilità, piuttosto che dover lottare con la piccola speranza che le restava, e di cui si vergognava, perché era così piccola e timida“.

Ma il nido vuoto vuoto non è nulla, niente più che un frammento. Il nido vuoto è solo l’immagine strindente di una paura tanto comune che non possiamo passarci semlicemente attraverso, ogni giorno, fingendo di non notarla, ma possiamo passarci in mezzo e fingere che non ci sia“.

Era una vecchina minuscola, vestita di nero, con un rottame di cappello che si era fatta da sola e aveva decorato con una veletta che le arrivava agli occhi. Leggeva molto, attentamente protesa verso la debole luce della lampada tolta dal comodino di Delia. Prima di quella lampada si era accontantata di una lampadina nuda avvitata al centro del soffitto. Era molto risparmiatrice, non aveva mai perso l’abitudine di fare economia il più possibile e, anzi, amava lesinare. Non aveva accumulato una grossa fortuna, ma accumulare le piaceva, come guardare crescere le proprie ricchezze. Osservava la gente calcolando non ciò che poteva ottenere da loro, ma ciò che loro avrebbero potuto sottrarle se solo lei glielo avesse permesso. non era incline al pettegolezzo. Ammetteva di non amare o detestare qualcuno solo in quanto le ricordava una certa categoria o una classe… Il suo repertorio era costituito da smorfie, strizzate d’occhi, cenni e gesti che indicavano, parodiandoli, allarme, timidezza, rabbia e pietà, oltre a una collezione di frasi sarcastiche o umoristiche che, quand’era giovane, aveva trovato utili. Ma di gente ne frequentava poca“.

Oltre che leggere i libri di questa autrice, vale la pena di conoscere anche la sua vita. Dublinese trapiantata a New York lavorò come giornalista di moda e di cultura per l’Harper’s Bazar e per il New Yorker. Era straordinariamente intelligente e bellissima, nella cover del libro c’è un suo ritratto; condusse una vita tormentata che si concluse dentro e fuori gli ospedali psichiatrici. Mi è rimasta impressa la citazione di Yeats che scrisse sulla parete dell’ufficio di Maxwell e che lui cita nella prefazione: “Un certo grado di autostima è necessario perfino ai pazzi“.

La quarta: Mariti e mogli prigionieri in matrimoni dove l’amore è assottigliato e sciupato, ma non esausto, abitati da ricordi gioiosi e da strane solitudini, vittime di ossessioni inutili, in fuga – solo immaginaria – dalle regole di una riservatezza che scivola in sofferenza. In sei racconti implacabili, che parlano di disamore, di gesti marmorizzati nell’abituidine, di desiderio struggente di felicità, Maeve Brennan sorprende, raggela e incanta.

Il principio dell’amore di Maeve Brennan
pagine 245 – BUR Biblioteca Universale Rizzoli, 2006
Traduzione di Ada Arduini

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