Conosco Kim Thùy per avere letto la sua prima opera. Riva, questo il titolo italiano mentre l’originale è Ru che in francese significa “piccolo ruscello” e in vietnamita la stessa parola significa “ninnananna e cullare”, narra le vicende dell’autrice nata durante l’offensiva del Têt (1968), “…all’ombra di quei cieli ornati di fuochi d’artificio, decorati con ghirlande luminose, solcati da razzi e missili”, la cui vita si srotola tra il Vietnam e il Québec, due realtà lontane ed estranee tra loro quanto il Vietnam del Nord e il Vietnam del Sud, il mondo comunista e il mondo capitalista – prima francese, poi americano – quando lei nacque. A dieci anni, Nguyễn An Tịnh si ritrova sul fondo di una barca impregnata di cattivi odori e olio da motore, diretta con altri duecento vietnamiti, i boat people, in un campo profughi in Malesia. Quando, dopo mille traversie, approderà con la famiglia in Canada, la bambina cercherà di “guardare lontano, lontano in avanti”; ma non perderà le tracce del passato, “frammenti, cicatrici e barlumi” narrativi che tentano di riannodare i fili di una storia divisa in due. Sono pagine dense di emozioni trasmesse nella forma di diario poetico in cui ciascun personaggio ha contorni perfetti e dove il ruolo principale lo hanno comunque le donne come quelle che “hanno portato il Vietnam sulle spalle mentre i mariti e i figli sulle loro portavano le armi … Queste donne, invece, lasciavano crescere la tristezza nella cavità del loro cuore”.

Sono tornata con piacere a leggerla ora ne Il mio Vietnam, un libro in cui Kim Thùy continua a raccontare di sé attraverso Vi, la protagonista della storia il cui nome significa preziosa, minuscola. Vi appartiene a una ricca famiglia di Saigon ed è costretta a fuggire dalla guerra  condividendo il destino di molti che, dopo un durissimo viaggio per mare, approdano in uno dei campi profughi allestiti in Malesia per poi arrivare in Quebec. Vi si muove in un universo composito fatto di luoghi e incontri in cui ogni volta deve ricostruire uno spazio che sia suo. La sua crescita, l’acquisizione della consapevolezza di sé richiedono un impegno costante, un’attenzione a fare proprio tutto ciò che è nuovo senza dimenticare quello che si è lasciato alle spalle e che forse non esiste più. Tornerà poi in Vietnam per scoprire che il cambiamento avvenuto nel Paese, purtroppo poco testimoniato, rischia in qualche misura di disperderne la memoria. La narrazione, il filo della storia, si reggono sui personaggi femminili, la madre, l’amica Ha, Vi, narrati magistralmente dalla scrittura di Kim Thuy, un perfetta sintesi di eleganza e “densa” leggerazza che mette in scena la Storia di un intero popolo.

L’incipit:
Avevo otto anni quando la casa è precipitata nel silenzio.
Sotto il ventilatore d’appoggio appeso al muro bianco avorio della sala da pranzo, c’era un blocco con trecentosessantacinque fogli incollato su un grande cartoncino rigido color rosso vivo. Ogni foglio indicava l’anno, il mese, il giorno della settimana e due date: una secondo il calendario solare e l’altra secondo quello lunare. Non appena sono stata in grado di arrampicarmi su una sedia, mi hanno concesso il piacere di staccarne una pagina al risveglio. Ero la custode del tempo. Quando i miei fratelli maggiori Long e Lôc hanno compiuto diciassette anni, ho perso questo privilegio. Dal giorno di quel compleanno, che non abbiamo festeggiato, tutte le mattine mia madre piangeva davanti al calendario. Avevo l’impressione che, strappando la pagina del giorno, si lacerasse anche lei. Il tic tac dell’orologio con cui ci addormentavamo durante il sonnellino pomeridiano d’improvviso risuonava come il ticchettio di una bomba a orologeria“.

Per saperne di più: Il mio Vietnam: intervista a Kim Thùy di Gabriele Santoro per Minimaetmoralia

Il mio Vietnam di Kim Thùy
traduzione di Cinzia Poli
pag.142 – Nottetempo, 2017

Immagine dal web.

 

 

Share: