Ho già letto diversi libri di Joyce Carol Oates, autrice assai prolifica e grandissima, e ora sono arrivata all’ultima pagina di Storie americane, una raccolta di suoi racconti giovanili pubblicati in America tra il 1963 e il 1977 su diverse riviste letterarie. Le storie narrate mi hanno colpito, oltre che per la grandezza letteraria, per l’attualità di ciò che raccontano. I temi sono quelli cui J. C. Oates ci ha abituato, infatti trattano di difficili relazioni familiari, spesso portate agli estremi, di razzismo e altri tipi di discriminazioni, di amore e anche di morte. In qualche caso lei stessa ha dichiarato di avere liberamente reinterpretato alcuni autori classici.

Nella postfazione la Oates dice: “Nel corso di tre decenni … ho pubblicato all’incirca quattrocento racconti… Le ragioni hanno quasi sempre a che fare con la commemorazione di persone, di paesaggi, di fatti o di esperienze profonde e sibilline che si possono contemplare solo nella solitudine dell’arte. C’è anche la speranza di “essere testimoni” per quanti non possono parlare in prima persona; la speranza di documentare misteri i cui contorni a stento io stessa riesco a definire, se non trasformandoli in strutture che rivendichino qualche genere di permanenza condivisa. Perché quel che ci lega sono esperienze, emozioni e forze elementari che non possiedono un linguaggio intrinseco, e devono quindi essere immaginate sotto forma d’arte, se davvero le vogliamo contemplare.
Nel raccogliere questi racconti giovanili è stato istruttivo, per me, vedere come questi siano i motivi che, sin dal principio, hanno ispirato la mia narrativa. Le mie prime pubblicazioni … trattano del rapporto tra bianchi e neri (o negri, come si diceva a quei tempi); il romanzo che ho cominciato a scrivere trent’anni dopo, Corky’s Price, anche se in forma molto diversa, parla dello stesso argomento. E l’interrogatio filosofico  sotteso a una gran parte o forse a tutto il mio scrivere è lì fin dall’inizio, e salta agli occhi anche a una rilettura casuale, come se tra il 1962 e il 1992 il tempo non fosse passato“.
Mi permetto di aggiornare la data al 2018. Ancora oggi il tempo dei temi trattati in passato e così magistralmente da Joyce Carol Oates, è sempre il presente.

 

La quarta:
Esistenze che si trascinano in un’insoddisfazione indefinita, illuminate, riscattate o condannate da una decisione improvvisa, da un incontro che spezza la logica della banalità, da un istante di grazia che segna un’inaspettata presa di coscienza. È l’incontro imponderabile con la parte più recondita di se stessi a spingere all’azione i protagonisti di queste “Storie americane”: storie di follia quotidiana che maturano nella noia della vita di provincia o germinano nella frenesia della metropoli. Sono soprattutto storie di donne, di sacrificio e di innocenza perduta. Come quella di Connie, un’adolescente che si consegna a un giovane teppista per salvare i genitori e la sorella; di Helen, punita dal padre per aver infangato il buon nome della famiglia; di Moira e Beatrice, legate da un rapporto morboso e inquietante nel tentativo di superare lo stesso lutto. Donne che camminano senza felicità sul doppio binario della vita matrimoniale e di una relazione clandestina, corteggiando più o meno consapevolmente la morte; donne in conflitto con una maternità che arriva non voluta o sfugge malgrado il desiderio. Accanto a loro, padri, mariti e amanti che restano impotenti e distaccati a guardare quel travaglio interiore, senza comprenderlo. Ed è la stessa distanza, la stessa incomprensione a caratterizzare i rapporti fra genitori e figli o la tensione fra bianchi e neri, in una società innervata nel profondo dai conflitti razziali. A risolvere situazioni bloccate o sospese, a colmare lacune di comunicazione o a ribaltare rapporti di forza è spesso la violenza, vero scheletro portante di queste pagine, in tutte le sue forme: immaginata o compiuta, fisica o psicologica; la violenza degli elementi naturali o quella che si respira nell’aria delle grandi città. Ma non mancano altri temi classici nella produzione della dark lady della letteratura statunitense, come quello della malattia mentale, la disintegrazione dei valori, il crimine. Joyce Carol Oates dimostra una capacità unica di dissezionare situazioni e sentimenti, di rielaborare il proprio vissuto ma anche di confrontarsi con i grandi – da Joyce a Cechov, da Henry James a Flannery O’Connor – cogliendo tutti i fremiti che corrono sotto la pelle della vita americana.

Storie americane di Joyce Carol Oates
L. Fochi (Traduttore), I. Zani (Traduttore)
pagine 508 –
Tropea Editore, 2005

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