Sono passati molti anni da quando ho letto Ognuno muore solo di Hans Fallada, oggi l’ho ripescato dalla libreria perché penso sia uno di quei libri che, mettendo al centro il rapporto tra la coscienza di ognuno di noi e i fatti della storia, può aiutarci a conoscere il passato o a ricordarlo meglio e a riflettere sul nostro presente, sull’etica delle nostre scelte politiche. L’autore ha scritto questo libro in soli ventiquattro giorni, subito prima di morire. Il romanzo, ispirato a una vicenda reale, è stato pubblicato nel ’47 e narra di come una coppia di coniugi abbia tentato di fare resistenza al nazismo. Ovviamente la storia è finita male, né poteva essere diversamente visto che ogni voce contraria al regime veniva soffocata, più spesso soppressa in modo definitivo. Fallada ha avuto una esistenza complicata, riguardo il regime nazista non vi ha mai aderito, ma ha cercato di vivere in una sorta di equilibrio e forse scrivendo questo libro ha voluto compensare una scelta che gli pesava addosso.

Dalla quarta: «Il libro più importante che sia mai stato scritto sulla resistenza tedesca al nazismo» (Primo Levi). Ognuno muore solo (uscito nel 1947) è basato su una storia vera, rielaborazione letteraria dell’inchiesta della Gestapo che portò alla decapitazione due coniugi berlinesi di mezz’età. Hans Fallada, massimo autore del neorealismo weimariano, ormai alcolizzato, dipendente da farmaci, ripetutamente incarcerato e rinchiuso in istituti psichiatrici, ricevette l’incartamento da autorità della ricostruzione e scrisse l’opera nel tardo 1946, in ventiquattro giorni, appena prima di morire. Eppure, questo ritratto raggelante, della Germania sotto la doppia angoscia del nazismo e della guerra, è rimasto dimenticato a lungo e vive solo oggi una nuova stagione anche grazie alla trionfale scoperta e pubblicazione in America. Ciò, malgrado possegga, oltre il valore letterario e storico, tutte le qualità che assicurano un’esperienza di lettura toccante. La tensione livida, paragonata al primo Le Carré. L’azione corale di un gran numero di personaggi mai stereotipati, benché più istintivamente gran parte di loro ispirerebbe o repulsione disgustata o eroico entusiasmo. La trasfigurazione, nel racconto oggettivo privo di ogni espressionismo, dell’esperienza ambientale di chi, forse unico tra gli scrittori antinazisti già affermati, non emigrò mai, continuando a respirare il potere totale hitleriano. Una spietata caccia all’uomo, con tanto di bandierine sulle carte, guidata da investigatori tanto tecnicamente capaci quanto irrazionalmente mossi da un fanatismo assurdamente sproporzionato agli scopi. E probabilmente le ragioni dell’oblio e della riscoperta stanno appunto nel fatto che è un romanzo sulla resistenza. Un romanzo sulla resistenza e sulla disperazione. Contrastante, quindi, con il luogo comune di un Hitler che non conobbe oppositori tra la gente ordinaria, unita nella colpa collettiva. Fallada racconta di poveri eroi. Anna e Otto Quangel, lui caporeparto lei casalinga, come tutti i loro pari soli e addormentati e poco prima ancora abbagliati dal Führer, conoscono un risveglio dopo la notizia della morte del figlio al fronte, e cominciano a riempire alcuni caseggiati della loro Berlino con cartoline vergate in modo incerto di appelli ingenui di ribellione. Lo fanno per comportarsi con decenza fino alla fine, ben sapendo che morranno e sicuri che nel vicino incontreranno più facilmente il delatore. L’autore li illumina, scorgendo in loro una specie di coscienza della nazione, rappresentata dai tanti volti intorno, espressioni di un popolo spaccato in due, chi odia e opprime e chi è sepolto nella sua paura.

Citazioni:

I pochi borghesi si perdevano completamente in quella ressa e riuscivano insignificanti e smorti in mezzo a tante uniformi; così come il popolo, fuori, per le strade e nelle fabbriche non aveva mai avuto significato per il partito. Il partito era tutto e il popolo nulla”.

“[…] se avessimo avuto un uomo che ci avesse detto: dovete agire così, questo o quello è il nostro piano. Ma se ci fosse stato un uomo simile in Germania, non avremmo mai avuto un 1933. Così abbiamo dovuto agire ognuno per conto suo, e siamo stati presi uno per uno, e ognuno di noi morrà solo. Ma non per questo siamo soli, Quangel, non per questo moriamo inutilmente. A questo mondo nulla accade inutilmente, e poiché combattiamo per la giustizia contro la forza bruta, saremo noi i vincitori, alla fine”.

Ognuno muore solo di Hans Fallada
Traduzione di Clara Coïsson
pag. 752 – Sellerio editore, 2010

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