Eravamo un punto cruciale. Jacopo doveva prendere una decisione che avrebbe influenzato tutta la sua vita. Cercavo di trattenere il fiato per non disturbare i suoi pensieri. Mi sentivo male per lui, un errore adesso sarebbe costato caro.
Jacopo aveva bisogno di tempo. «Sai che facciamo? Vieni da me e mangiamo qualcosa, così parliamo con calma.» «Andiamo in un bar qui vicino» aveva proposto invece lui. «Non posso.» Intanto controllavo le notifiche…
Mezz’ora dopo ero già in macchina, l’aria condizionata a manetta, diretta verso quel paesone di periferia che è “quasi Milano”. Non avevo idea di dove fosse l’officina del padre di Jacopo. Il centro, dove finiva l’asfalto…
Erano passati parecchi giorni, quasi avevo smesso di pensarci, avevo relegato Jacopo in una zona d’ombra, quella in cui metto spunti, riflessioni, fatti utili per un racconto, tutto insieme a decantare dentro la mia testa…
Mi sono messa a cercare in rete tra i fatti di cronaca recenti. È stato facile trovare l’articolo di un giornale locale. È scritto in modo sciatto e racconta della breve vita di Riccardo Salutati, detto Poppo e, soprattutto…
Venti minuti. Sono venti minuti che stiamo in silenzio, Jacopo è impietrito, la faccia di gesso sotto l’abbronzatura, io ho continuato a ravanare nei cassetti della mia testa per trovare un concetto, una frase bella…
Jacopo che vive senza libri e senza mamma, cui è morto un amico. Proprio da me doveva venire? «Mi dispiace.» Allungo una mano e gli stringo il polso. «Renato avrebbe saputo ascoltarti meglio di me.» «No!» quasi grida. «Proprio a te volevo dirlo. Tu sei una che capisce le persone. Hai capito lui, per questo ti ho cercata.»