Di recente è uscito un articolo di Elisa Murgese su L’Espresso, titolo Analfabeti funzionali, il dramma italiano: chi sono e perché il nostro Paese è tra i peggiori, che riporta tutti i numeri per capire la dimensione di un fenomeno sottovalutato, risultato di una recente indagine (indagine Piaac). L’articolo, di cui consiglio la lettura, fa riferimento anche ad altri studi, cita tabelle e mostra una realtà sconcertante, ma a noi ben nota e mi ha portato a riflettere ancora una volta sull’attenzione da porre alla chiarezza dei testi che scrivo in qualità di ghostwriter, un obiettivo che è sempre stato tra le mie priorità.

Secondo l’analisi dei dati raccolti, moltissime persone sono capaci di leggere e scrivere,
ma hanno difficoltà a comprendere testi semplici e sono prive di molte competenze utili nella vita quotidiana.
Nessuna nazione in Europa, a parte la Turchia, ne conta tante quanti noi.

Nel 2010 Tullio De Mauro aveva condotto uno studio sull’analfabetismo in Italia, quello strumentale che comporta la totale incapacità di decifrare uno scritto, e quello funzionale, ovvero l’incapacità di passare dalla lettura alla comprensione di un testo anche semplice; egli aveva messo in relazione il peso che l’analfabetismo ha sulle vicende linguistiche e anche sociali del nostro Paese. Allora come oggi, il problema non era solo italiano, tuttavia era già risultato particolarmente grave da noi, infatti secondo gli studi del linguista, due italiani su tre non erano in grado di capire un testo scritto o di decodificare il significato di un discorso complesso. Solo la Spagna si trovava in una situazione simile; negli USA e (a decrescere), in Francia, Gran Bretagna, Germania ecc. paesi dove l’abitudine alla lettura è più diffusa, si trovavano percentuali di analfabeti dal 50 al al 40%; lo stesso in Giappone, Corea, Finlandia, Paesi Bassi.

Oggi poco è cambiato, se non in peggio. A quanto pare la maggior parte degli analfabeti funzionali si trovano tra gli over 55 e tra i giovanissimi che stanno a casa dei genitori senza lavorare né studiare. Cito da L’Espresso: «Questo dato (sull’analfabetismo funzionale) è particolarmente accentuato nel nostro Paese – si legge nel report – dove il 73 percento dei low skilled è cresciuto in famiglie in cui erano presenti meno di 25 libri». Una mancanza che può portare i giovani a cadere in un crudele circolo vizioso. «L’assenza di un livello base di competenze rende difficili ulteriori attività di apprendimento», tanto da portare le competenze dei giovani con background fragili a «invecchiare e deteriorarsi nel tempo», rendendo per loro sempre un miraggio «l’accesso a qualsiasi forma di apprendimento».

Il problema era ed è generale, seppure con diversi livelli di gravità, eppure nulla è stato fatto.

Per quanto riguarda l’Italia, procediamo a passo spedito verso nuovi traguardi negativi di alfabetizzazione. Inutile girarci intorno, ciò accade perché pratichiamo uno stile di vita in cui non ci curiamo di nutrire la mente: non leggiamo, non coltiviamo interessi che favoriscano l’esercizio della comprensione. Consumiamo l’inutile e il tossico e siamo l’espressione di ciò di cui ci alimentiamo. Molti di noi hanno lavorato con impegno nel lasciarsi vivere senza porsi alcuna domanda, senza praticare la cura della propria mente con il risultato di averla portata all’atrofia. Il bello è che tanti neppure se ne rendono conto  e quindi “stanno sereni”, osservando inebetiti e inerti ciò che accade intorno.

Come a suo tempo aveva osservato De Mauro, “ci si chiude nel proprio particolare, si sopravvive più che vivere e le eventuali buone capacità giovanili progressivamente si atrofizzano e, se siamo in queste condizioni, rischiamo di diventare, come diceva Leonardo da Vinci, transiti di cibo più che di conoscenze, idee, sentimenti di partecipazione solidale”.

Altre info qui:
La parola ci fa uguali 3. Analfabetismo strumentale, funzionale e di ritorno
UNLA (Unione Nazionale per la Lotta all’Analfabetismo)

Immagine dal web.

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