A una cena tra amici di qualche mese fa è accaduta una cosa inaspettata: allo scoccare della mezzanotte una delle coppie riunite intorno al tavolo ancora semi imbandito ha annunciato di avere fissato la data del loro matrimonio. La notizia l’ha data la futura sposa fissandoci uno per uno con occhi luccicanti in cui vibrava il piacere di condividere la sua, la loro felicità con noi, un gruppo di persone assai variegato, più mature che giovani, per quanto la definizione di gioventù oggi sia scontornata e si dilati e si distenda fin quasi alla vecchiaia. A quel tavolo c’ero anch’io. Di solito non mi scompongo mai, eppure lì, investita dall’entusiasmo palese di lei e dalla soddisfazione trattenuta di lui, di natura più riservato, confesso di essermi sentita spaesata.

Matrimonio! Io penso che sia un istituto obsoleto e che non abbia più ragione d’essere nella nostra società in cui sono cambiate le regole di convivenza ed è normale disattendere gli impegni e l’idea che l’amore sia per sempre si è svuotata di ogni significato; su questo tema ci sarebbe ancora molto da dire per approfondire, ma la questione rischierebbe di diventare complicata, quindi noiosa e interessante solo per pochi. Tuttavia quella sera ho cercato di spiare le emozioni dei futuri sposi, una coppia collaudata ora travolta dalla beatitudine di un’avventura felice quanto può esserlo l’organizzazione di una cerimonia da gestire con il giusto piglio, sorridendo senza affanni. È quasi impensabile poter trascorrere un periodo così intensamente gioioso, divertente, frizzante in un’epoca buia come la nostra. È un privilegio e loro, persone intelligenti, ne erano consapevoli. Allora ho deciso di lasciare da parte qualsiasi considerazione che comunque sarebbe stata solo mia, influenzata dal mio modo disilluso di guardarmi intorno in un presente diroccato. Ho capito che mi conveniva approfittare degli scampoli di felicità che quei due seminavano in giro, inconsapevoli di brillare come pochi nel grigio in cui siamo sprofondati.

Sono sinceramente felice per loro e ho voluto farmi contagiare dalla loro felicità.

La sposa ha chiesto alle amiche di cercare qualche brano per le letture da fare durante la cerimonia e mi sto impegnando per trovare dei testi che difficilmente altri le sottoporranno. Ho trovato una poesia di Gregory Corso che a me piace molto, ma non è adatta allo scopo. La metto qui come un piccolo regalo anticipato alla mia amica e continuo la ricerca. C’è il testo qui sotto, ma consiglio di seguirne la lettura ascoltando Vittorio Gassman che la “interpreta” in modo grandioso e poi, volendo, riascoltandola nella versione recitata di Valerio Mastandrea, qui il link al video, Sarà un modo per godere di tre “Matrimonio” diverse.

Io ammiro Mastandrea, mi piace come attore e anche come uomo, apprezzo le sue scelte in ambito professionale, ma non regge il confronto con Vittorio Gassman, un talento immenso supportato da un grande mestiere, preciso ed esatto in ogni intonazione. L’accento romanesco permea la lettura di Mastrandea, come accade quasi sempre con gran parte degli attori della sua generazione. Anche se la sua interpretazione non mi dispiace del tutto, somiglia più a un gioco che a una recita seria, con lui il peso delle parole di Gregory Corso scivola nell’approssimazione di una recitazione sciatta. Alla fine Valerio Mastandrea, ridendo, si chiede se il poeta si stia rivoltando nella tomba a causa della sua performance. Io credo che forse Gregory Corso si stia facendo una infinita, inarrestabile risata amara vedendo come il gioco al ribasso generale abbia ridotto anche la sua arte, anzi l’arte e il mondo intero.

E tuttavia la scelta dei miei amici, una scelta che considero fuori dai canoni, mi concede ancora la prospettiva di una speranza. Grazie!

Matrimonio è una poesia di Gregory Corso poeta della beat-generation molto amato in Italia, dove ha voluto riposassero le sue ceneri deposte a Roma nel cimitero del Testaccio, accanto alla tomba di Shelley e vicino al luogo in cui è sepolto anche John Keats. La traduzione di questa poesia ironica e provocatoria è di Fernanda Pivano che di Corso scrisse: «insolente al di là del sopportabile e strafottente nella più assoluta imprevedibilità qualunque cosa abbia detto o scritto ha sempre rivelato il dono di non dire mai una sciocchezza”».

Matrimonio

Devo sposarmi? Devo essere buono?
Far colpo vestito di velluto e cappuccio da Faust sulla ragazza che abita accanto?
Portarla a cimitero invece che al cinema
dirle tutto su lupi mannari vasche da bagno e clarinetti biforcuti
poi desiderarla e baciarla e tutti i preliminari
e lei che arriva solo fino a un certo punto e io capisco perché
e non mi arrabbio dicendo Devi sentire! È bello sentire!
Invece la prendo tra le braccia mi appoggio a una vecchia tomba contorta
E corteggio lei la notte intera le costellazioni nel cielo –

Quando mi presenta ai suoi genitori
schiena ritta, capelli finalmente ravviati, strangolato da una cravatta,
devo sedere a ginocchie unite sul loro sofà da 3º grado
e non domandare Dov’è il bagno?
Come sentirmi se non come sono,
pensando spesso al sapone Flash Gordon –
O come dev’essere orribile per un giovanotto
seduto davanti a una famiglia e la famiglia che pensa
Non l’abbiamo mai visto! Vuole la nostra Mery Lou!
Dopo il tè e i dolci fatti in casa mi chiedono Come ti guadagni la vita?
Devo dirglielo? Gli sarei simpatico, dopo?
Direbbero Va bene sposatevi, perdiamo una figlia
ma guadagniamo un figlio –
E devo domandare allora Dov’è il bagno?

Dio, e il matrimonio! Tutta la famiglia e i suoi amici
e solo un pugno dei miei, tutti scrocconi e barbuti
che aspettano soltanto cibi e bevande –
E il prete! Mi guarda quasi mi masturbassi
nel chiedermi Vuoi questa donna per tua legittima sposa?
E io tremante che dire direi Torta Colla!
Bacio la sposa tutti quegli arrapati giù manate sulla schiena
È tutta tua, ragazzo! Ah-ah-ah!
E nei loro occhi si vede qualche oscena luna di miele in atto –
Poi tutto quell’assurdo riso e lattine che sbattono e scarpe
Cascate del Niagara! Orde di noi! Mariti! Mogli! Cioccolatini!
Tutti che affollano alberghi accoglienti
Tutti a fare la stessa cosa stanotte
L’impiegato indifferente che sa cosa sta per succedere
Gli idioti nella hall che lo sanno
Il fattorino dell’ascensore che lo sa fischiettando
Il portiere ammiccante che lo sa
Tutti lo sanno! Mi vien quasi voglia di non fare niente!
Stare alzato tutta la notte! Fissare negli occhi quell’impiegato d’albergo!
Gridando: Io nego la luna di miele! Io nego la luna di miele!
correndo aggressivo in quegli appartamenti quasi eccitati
urlando Pancia Radio! Zappa gatto!
Oh vivrei a Niagara per sempre! in una buia caverna sotto le Cascate
mi siederei il pazzo Lunatoredimiele
e escogitar modi per rompere matrimoni, fustigatore di bigamia
santo del divorzio –

Ma devo sposarmi essere buono
Che bello sarebbe tornare a casa da lei
e sedermi vicino al fuoco mentre lei in cuicna
col grembiule giovane e bella vuole un mio figlio
e così felice per me da far bruciare il roast-beef
e viene a piangere da me e io mi alzo dalla grande sedia di padre
e dico Denti Natale! Cervelli radiosi! Mela sorda!
Dio che marito sarei! Sì, devo sposarmi!
Tanto da fare! per esempio entrare in casa di Mr. Jones a tarda notte
e coprirgli le mazze da golf di libri norvegesi 1920
o appendere una foto di Rimbaud alla falciatrice
o incollare francobolli di Tannu Tuva su tutto lo steccato di cinta
o quando viene la Signota Kindhead per la colletta del Fondo della Comunità
afferrarla e dirle Ci sono presagi sinistri nel cielo!
E quando il sindaco viene a chiedermi il voto dirgli
Quando li farai smettere di uccidere balene!
E quando viene il lattaio lasciargli un appunto nella bottiglia
Polvere di pinguino, portami polvere di pinguino, voglio polvere di pinguino –

Eppure se dovessi sposarmi e fosse il Connecticut e la neve
e lei partorisse un bambino e io non potessi dormire, esausto,
in piedi la notte, il capo su una muta finestra, il passato alle spalle,
trovandomi tremante nella situazione più solita
consapevole di responsabilità non rametto sporco né minestra di moneta Romana
O cosa sarebbe!
Certo gli darei per capezzolo un Tacito di gomma
Per sonaglio un sacco di dischi rotti di Bach
Attaccherei Della Francesca intorno alla culla
Cucirei l’alfabeto greco sul suo bavaglino
E per il suo passaggino costruirei un Partenone senza tetto

No, non credo che sarei quel tipo di padre
niente campagna niente neve niente muta finestra
ma rovente puzzolente isterica New York City
sette piani di scale, scarafaggi e topi sui muri
una grassa moglie reichiana che strilla da sulle patate Trovati un posto!

E cinque bambini mocciosi innamorati di Batman
E i vicini sdentati e forforosi
come quelle masse stracciate del 18º secolo
tutti che volgiono entrare e guardare la TV
Il padrone vuole l’affitto
Drogheria Gas Blue Cross & Electric Knights of Columbus
Impossibile sdraiarsi a sognare neve del Telefono, parcheggio fantasma –

No! Non devo sposarmi non devo sposarmi mai!
Ma – e Se fossi sposato a una bella donna sofisticata
alta a pallida in un vestito nero elegante e lunghi guanti neri
con un bocchino in mano e un bicchiere nell’altra
e vivessimo in una penthouse con un’enorme finestra
da cui vedere tutta New York e anche oltre nelle giornate serene
Non non riesco ad immaginarmi sposato a quel piacevole sogno prigione –

Ma e l’amore? Dimentico l’amore
non che sia incapace di amore
è solo che l’amore per me è strano come portare scarpe –
non ho mai voluto sposare una ragazza che somigliasse a mia madre
E Ingrid Bergman mi è sempre stata impossibile
E forse adesso c’è una ragazza ma è già sposata
E non mi piacciono gli uomini e…
ma ci deve essere qualcuno!
Perché e se a 60 anni non sono sposato,
tutto solo in una camera ammobiliata con macchie di piscio nelle mutande
e tutti gli altri sposati! Tutto l’universo sposato all’infuori di me!

Ah, eppure so bene che se ci fosse una donna possibile come io sono possibile
allora il matrimonio sarebbe possibile –
Come LEI nel suo solitario fasto esotico aspetta l’amante egiziano
così come aspetto io – privo di 2000 anni e del bagno della vita.

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