Ogni tanto rileggo qualche pagina dei libri dei grandi Maestri; lo faccio soprattutto quando ciò che sto scrivendo mi impegna tanto quanto mi appassiona. Le storie difficili, quelle che più di altre mi prendono per mano e mi accompagnano in mondi che non mi appartengono, sono quelle che amo di più. Scrivere un libro è il genere di viaggio che preferisco, ma bisogna attrezzarsi per compierlo.

In un capitolo di Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio, Italo Calvino ci suggerisce di partire avendo le idee chiare sul progetto di scrittura che intendiamo affrontare, di scrivere e riscrivere per ottenere il migliore risultato possibile e di usare le parole, come le immagini, in modo preciso per non togliere loro valore e potenza. Da notare che Calvino scrisse questo testo nel 1988; la sua attualità rapportata ai nostri giorni è impressionante.

Ecco cosa dice a proposito dell’Esattezza:

“Esattezza vuol dire per me soprattutto tre cose:

1) un disegno dell’opera ben definito e ben calcolato;

2) l’evocazione d’immagini visuali nitide, incisive, memorabili; in italiano abbiamo un aggettivo che non esiste in inglese, “icastico”, dal greco eikastikös;

3) un linguaggio il più preciso possibile come lessico e come resa delle sfumature del pensiero e dell’immaginazione.

Perché sento il bisogno di difendere dei valori che a molti potranno sembrare ovvii? Credo che la mia prima spinta venga da una mia ipersensibilità o allergia: mi sembra che il linguaggio venga sempre usato in modo approssimativo, casuale, sbadato, e ne provo un fastidio intollerabile. Non si creda che questa mia reazione corrisponda a un’intolleranza per il prossimo: il fastidio peggiore lo provo sentendo parlare me stesso. Per questo cerco di parlare il meno possibile, e se preferisco scrivere è perché scrivendo posso correggere ogni frase tante volte quanto è necessario per arrivare non dico a essere soddisfatto delle mie parole, ma almeno a eliminare le ragioni d’insoddisfazione di cui posso rendermi conto. La letteratura – dico la letteratura che risponde a queste esigenze – è la Terra Promessa in cui il linguaggio diventa quello che veramente dovrebbe essere.

Alle volte mi sembra che un’epidemia pestilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltà che più la caratterizza, cioè l’uso della parola, una peste del linguaggio che si manifesta come perdita di forza conoscitiva e di immediatezza, come automatismo che tende a livellare l’espressione sulle formule più generiche, anonime, astratte, a diluire i significati, a smussare le punte espressive, a spegnere ogni scintilla che sprizzi dallo scontro delle parole con nuove circostanze.

Non m’interessa qui chiedermi se le origini di quest’epidemia siano da ricercare nella politica, nell’ideologia, nell’uniformità burocratica, nell’omogeneizzazione dei mass-media, nella diffusione scolastica della media cultura. Quel che mi interessa sono le possibilità di salute. La letteratura (e forse solo la letteratura) può creare degli anticorpi che contrastino l’espandersi della peste del linguaggio.

Vorrei aggiungere che non è soltanto il linguaggio che mi sembra colpito da questa peste. Anche le immagini, per esempio. Viviamo sotto una pioggia ininterrotta d’immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza d’imporsi all’attenzione, come ricchezza di significati possibili. Gran parte di questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio.

Ma forse l’inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né fine. Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura”.

Lezioni Americane di Italo Calvino
Oscar Mondadori, pagine 148

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