Ambaradan è una parola che uso fin da quando ero una bambina, infatti, per qualche inspiegabile motivo era entrata nelle formule magiche che avevo adottato nei miei giochi. Ricordo che dicevo: “Ambaradan, tutti giù per terra!”. Di sicuro l’avevo rubata da qualche conversazione tra adulti di cui non avevo capito il senso, ma colto il suono. Nella scrittura l’ho usata raramente, tuttavia ora la sto considerando come titolo di un capitolo del libro che sto scrivendo poiché descrive perfettamente una situazione di caos che è congeniale alla mia storia. Mi è venuto lo sghiribizzo di andare a verificarne l’origine e il significato.

Ecco cosa dice la Treccani: ambaradàn s. m. [etimo incerto, ma prob. da connettere con Amba Aradam, massiccio montuoso dell’Etiopia presso il quale, nel 1936, ebbe luogo una importante battaglia della guerra italo-etiopica conclusasi con la vittoria italiana]. – 1. Situazione confusa e caotica, baraonda: che a. in quell’ufficio! 2. Attività molto complessa, la guida della quale richiede impegno e notevoli capacità organizzative: non è facile mandare avanti quell’a.; ha organizzato da solo tutto l’a. dei nuovi corsi.

scrivere ambaradanProbabilmente l’origine di questa parola deriva da Amba Aradam, un massiccio montuoso dell’Etiopia cui è legata la memoria di un tragico evento  della storia coloniale italiana. Nel 1935-1936 l’Italia tentava la conquista dell’Etiopia, in Africa; qui l’imperatore Hailé Selassié guidava la resistenza scegliendo di ripiegare per portare le nostre truppe nel cuore del Paese, dove sarebbe stato difficile far arrivare i rifornimenti.

Questo pezzo della Storia lo ricordano in tanti, almeno spero, come pure la vittoria italiana. Il “dettaglio” del come eravamo arrivati al “successo”, forse sfugge a molti, oggi.

A capo delle operazioni c’era il maresciallo Pietro Badoglio che decise di adottare un netto cambio di strategia introducendo l’uso di gas asfissianti; dal dicembre del ’35 gli italiani iniziarono a sganciare circa duemila quintali di bombe sul fronte nord, la gran parte caricate con il gas. Sul fronte sud, il maresciallo Rodolfo Graziani comiciò a usare delle granate caricate con arsine, un composto di arsenico e idrogeno che gonfia la pelle al punto da farla scoppiare; le piaghe infette provocano la necrosi delle superficii colpite fino all’inevitale morte della vittima. Nonostante ciò gli italiani non riuscirono a vincere la resistenza etiope e a raggiungere Addis Abeba.

Nel febbraio del ’36 Badoglio chiuse la questione proprio sull’Amba Aradam, con un utilizzo massiccio di armi chimiche: gli etiopi furono massacrati e l’Etiopia conquistata. L’Italia fu condannata a una serie di sanzioni da parte della Società delle Nazioni; cinquantadue Paesi sospesero il rifornimento di materie prime e materiale bellico all’Italia.

Grazie alla parola ambaradan, ho fatto un ripasso utile e interessante, soprattutto fonte di riflessione in relazione a tutto ciò che viviamo in questo orribile presente. Dobbiamo sapere chi siamo e da dove veniamo, per questo è folle relegare la Storia tra le materie di secondo piano.

Immagini dal web:
Truppe italiane in movimento (sullo sfondo l’Amba Aradam)
copertina della Domenica del Corriere del 1 marzo 1936

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