Mi trovo ad affrontare un tema difficile che sarà il centro della nuova storia che mi accingo a scrivere. L’architettura del libro sta cominciando a crescere, ma la sua forma non è ancora definita: ho dispiegato una buona porzione di un rotolo per tovaglie di carta e ora è piena di appunti e frecce e ghirigori, spazi vuoti e macchie di evidenziatore, oltre a qualche goccia di caffè. Ogni tanto aggiungo, ogni tanto tolgo, spesso introduco delle modifiche, tappo le falle con i post-it.

Ogni tanto tolgo dal tavolo questo “lenzuolo” che diventerà un libro e lo distendo a terra per guardare dall’alto che strada dovrà imboccare questa nuova storia. Certe volte mi sento persa.

In questi casi c’è una citazione famosissima di Calvino cui torno a pensare: “Prendete la vita con leggerezza, che leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore”.

E io provo a scrivere un libro cercando di scartare tutto ciò che è inutile, il ciarpame che appesantisce, le parole cui siamo assuefatti e di cui dovremmo imparare a fare a meno, sottrarre peso per arrivare a una pagina che chiunque possa leggere senza fatica e senza alcun senso di oppressione. Con leggerezza, appunto.

Nel primo capitolo di Lezioni americane – Sei proposte per il prossimo millennio, Italo Calvino offre una sua visione del mondo e tra l’altro associa la leggerezza alla precisione e alla determinazione nella ricerca di un linguaggio appropriato ed essenziale, naturale e quindi “leggero”. Suggerisce che l’esposizione di una tesi, oppure una descrizione, o il passaggio riferito alla narrazione di una intricata introspezione, qualsiasi elemento debba essere tenuto su un registro improntato alla leggerezza.

Ecco l’incipit della Leggerezza:

“Dedicherò la  prima conferenza  all’opposizione  leggerezza-peso,  e  sosterrò  le  ragioni  della leggerezza. Questo non vuol dire che io consideri le ragioni del peso meno valide, ma solo che  sulla  leggerezza  penso  d’avere  più  cose  da  dire.  Dopo quarant’anni che  scrivo fiction, dopo aver esplorato varie strade e compiuto esperimenti diversi, è venuta l’ora  che  io  cerchi  una  definizione  complessiva  per  il  mio  lavoro;  proporrei  questa:  la  mia  operazione  è  stata  il  più  delle  volte  una  sottrazione  di  peso;  ho  cercato  di  togliere  peso  ora  alle  figure  umane,  ora  ai  corpi  celesti,  ora  alle  città;  soprattutto  ho  cercato  di  togliere  peso  alla  struttura  del  racconto  e  al  linguaggio.
In questa conferenza cercherò di spiegare – a me stesso e a voi – perché sono stato portato a considerare la leggerezza un  valore  anziché  un  difetto;  quali  sono  gli  esempi  tra  le  opere  del  passato  in  cui  riconosco il mio ideale di leggerezza; come situo questo valore nel presente e come lo proietto  nel  futuro.

Comincerò dall’ultimo punto. Quando ho iniziato la mia attività, il dovere  di  rappresentare  il  nostro  tempo  era  l’imperativo  categorico  d’ogni  giovane  scrittore.  Pieno di volontà,  cercavo  d’immedesimarmi  nell’energia  spietata  che  muove la storia del nostro secolo, nelle sue vicende collettive e individuali. Cercavo di cogliere una sintonia  tra  il  movimentato  spettacolo  del  mondo,  ora  drammatico  ora  grottesco, e il ritmo interiore picaresco e avventuroso che mi spingeva a scrivere. Presto mi sono accorto  che  tra  i  fatti  della  vita  che  avrebbero  dovuto  essere  la  mia  materia  prima  e  l’agilità  scattante  e  tagliente  che  volevo  animasse  la  mia  scrittura  c’era  un  divario che mi costava sempre più sforzo superare. Forse stavo scoprendo solo allora la pesantezza, l’inerzia, l’opacità del mondo: qualità che s’attaccano subito alla scrittura, se non si trova  il  modo  di  sfuggirle.
In certi momenti mi sembrava che  il  mondo  stesse  diventando tutto di pietra: una lenta pietrificazione più o meno avanzata a seconda delle persone  e  dei  luoghi,  ma  che  non  risparmiava  nessun  aspetto  della  vita”.

Lezioni Americane – Italo Calvino
Oscar Mondadori, pagina 7

 

 

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