Mi piace moltissimo la scrittura cattiva di Joyce Carol Oates, questa straordinaria scrittrice mi coinvolge e mi intriga per ciò che racconta e per il modo in cui lo fa. Il suo stile, la sua voce potente, sono inimitabili. Pur avendo letto molti dei suoi libri, finora avevo evitato il romanzo Sorella, mio unico amore. Il rosa della copertina in cui troneggia l’immagine di una novella Barbie era urticante, almeno per me. Dico era, perché di recente ho letto il libro, l’ho trovato bellissimo e ho capito la genialità della cover, per una volta centratissima.  Il romanzo prende ispirazione da una storia realmente accaduta che riporta all’omicidio di JonBenet Ramsey, una bambina di sette anni, famosa come reginetta di bellezza in miniatura, assassinata a casa sua nel 1996. La Oates parafrasa la vicenda di JonBenet raccontando la storia di Bliss, la piccola pattinatrice uccisa, nel libro, in circostanze analoghe a quelle ricostruite nella vicenda reale; nel farlo tratteggia un ceto sociale vacuo, imperniato sul nulla dell’apparenza, dove le relazioni sociali e gli affetti sono fittizi a tal punto che perfino l’amore dei genitori nei confronti dei figli in realtà è solo un inganno. La scena in cui si svolge la storia è grottesca tanto quanto i personaggi che la abitano, le case sempre grandi e pretenziose, la ricchezza sempre ostentata, la perenne rincorsa all’accettazione da parte di chi è più in alto nella scala sociale di quelli che contano, il consumo di qualcosa che assomiglia all’amore e del sesso. Ogni cosa è esasperata dalla penna sapiente della Oates che alterna la voce narrante, quella di Skyler, il fratello della vittima, in prima e in terza persona. In un gioco di rimandi e note a piè di pagina, segni grafici, spazi e macchie, la lettura corre sempre più ossessiva verso il finale. La scrittura è debordante, veloce, affannata e perfino farneticante, in una parola perfetta per dare voce al delirio di Skyler.

La citazione che ho tratto da Sorella, mio unico amore è un paradigma per me, che sono una ghostwriter e scrivo romanzi basati sulla rielaborazione di storie vere.

Se la nostra vita è un film, o anche se non lo è, si può “decostruirla” in episodi: in “scene”. E le “scene” si possono analizzare in retrospettiva, ricavandone un “significato” non evidente nel momento in cui le si è vissute; “significato” che, come affermerebbe un filosofo cognitivo, non esiste sin quando non lo si analizza, in un linguaggio logico.

Sorella, mio unico amore di Joyce Carol Oates
Traduttore: G. Costigliola
Editore: Mondadori 2009
Pagine:667

La trama: Bix e Betsey Rampike a prima vista sono un caso di esemplare medietà suburbana: vivono non lontano eppure distantissimi dalla grande città, in un New Jersey tanto sonnacchioso quanto crudele nelle sue frammentazioni economiche e sociali; conducono un’esistenza che oscilla poco consapevolmente tra appagato conformismo e smodata ambizione; hanno due figli che, se per Bix sono l’incarnazione di un perenne senso di colpa venato di responsabilità, per Betsey rappresentano il veicolo di sogni di gloria e di riscatto, alimentati da una sottocultura della celebrità ormai del tutto pervasiva nella middle class americana. Le aspettative su Skyler, il primogenito, si sono purtroppo infrante in seguito a un incidente che lo ha lasciato claudicante. Diverso però è il caso di Edna Louise, graziosa bambina che sin dalla più tenera infanzia dimostra un talento fuori dal comune per il pattinaggio su ghiaccio che promette di lanciarla nello scintillante mondo dell’agonismo professionistico e dello show business.

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