Mi ricordo il tanfo pastoso del caldo in città, la pelle umida, la bocca secca e i pensieri che verso sera galleggiano in testa come bolle vischiose che subito svaporano.

Mi ricordo di notte l’attesa sfinita del chiaro e la paura del sole. Il climatizzatore che ronza e forse sputa un nuovo insetto, invisibile: la legionella. Ci faremo l’abitudine e, magari, anche gli anticorpi.

Mi ricordo il frigorifero da sbrinare e pulire con cura. Si deve lasciare tutto in ordine prima di partire. È la regola: chiudere la casa.

Mi ricordo quel che c’è da mettere in valigia e poi si parte. È la regola: aprire la casa.

Mi ricordo la montagna che conosco, la Valle d’Intelvi dove sto bene, finalmente! L’acqua spesso non è potabile, ma va bene a tutti. Battaglia persa. Le bottiglie di plastica inquinano l’ambiente però la mente è sgombra.

Mi ricordo l’andare sui sentieri sconnessi, al limite del praticabile. Nessuno se ne occupa da anni, ma va bene a tutti.  Battaglia persa. Non importa se ogni anno le mie passeggiate sono sempre più solitarie. C’è meno gente che passa di qui.

Mi ricordo i viottoli che mi conducono dentro e fuori la Svizzera. Passo il confine a piedi come facevano i contrabbandieri qualche decina di anni fa. Di qua e di là i Paesi sono gli stessi. Le frontiere sono un’invenzione sbagliata.

Mi ricordo la strada stretta che porta in alto, a Orimento; da lì partono i percorsi che conducono a un monte con un bel nome: si chiama Generoso. Bisogna andare a passo d’uomo sulle strisce d’asfalto sbrecciate che contornano una costellazione di grandi buche. Devi saper guidare bene per non fare e procurare danni.

Mi ricordo un tratto di bosco che si apre su una valletta verde smeraldo. Una volta era un accogliente luogo di sosta per le merende, pieno di bambini e di cani, di coperte stese a terra e tavolini da campeggio, nell’aria l’odore delle salamelle. Ora è deserto, spettrale, fa perfino paura. Ci sono delle strisce di plastica che delimitano alcune aree, non si può andare oltre. Non resta che tornare indietro e continuare a salire.

Mi ricordo che davanti al rifugio di Orimento il minuscolo parcheggio è per metà inagibile, bloccato da transenne di cemento. Il cartello dice: “Per manutenzione”. Il signore che prende il sole spettegola: “Forse è perché non hanno pagato l’affitto dell’area e il proprietario lo ha chiuso”. In questo Paese non sai a chi credere. Le macchine arrivano, fanno manovra. Se ne vanno.

Mi ricordo che quasi ogni giorno viene a trovarmi Gegio, un cervo maestoso che entra nel mio giardino al tramonto e si lascia filmare e fotografare con la consapevolezza di chi sa di essere bello e non teme nulla. Basta, Gegio, mangiarmi le azalee e i rododendri e le bergenie e… Ma sono io sulla tua terra!

Mi ricordo che un uomo mi ha detto di avere visto dei bracconieri appostati nel pascolo alto. Gegio, stai attento, non ti fare fregare! Quest’uomo non ha avvisato la Forestale perché siamo in Italia e funziona così.

Mi ricordo che giù, sul lago, girano un film con attori famosi. Durante le riprese talvolta chiudono la strada che è stretta e tortuosa, a modo suo un’altra Corniche come a Montecarlo. La Ferrari rossa corre, poi si schianta. C’è grande eccitazione. È tutta scena, o no? Noi però siamo a dieci secondi dalla fine, ma ancora non lo sappiamo.

Mi ricordo la radio che racconta una cosa che non pare vera e allora accendo la televisione e ci sono le auto volate giù con il ponte come foglie in un anticipo d’autunno.

Mi ricordo che invece di tacere e fare con rispetto, in modo solidale, tutti vomitano parole fuori luogo. I morti ascoltano ancora per un po’ e poi più niente. Dimenticare quella povera gente e fare casino per un proprio tornaconto. Il Paese è in mano a cervelli che sono vuoti a perdere.

Mi ricordo che spengo la radio e la televisione perché non voglio più ascoltare.

Mi ricordo che mi tocca sentire anche di peggio: gli italiani brava gente che tengono prigionieri un gruppo di derelitti su una nave.

Mi ricordo che è un dovere ascoltare il racconto delle barbarie di cui siamo capaci.

Mi ricordo, vi ricordo che è arrivato il momento di cominciare a gridare e di ribellarci all’imbecillità.

 

Immagine dal web: Il ponte di Eraclito di Renè Magritte, 1935.

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