Ho letto un articolo di Federica Brancale che parla di Dis-educazione digitale e illustra i rischi delle nuove tecnologie per bambini ed adulti. L’ho trovato condivisibile per molti aspetti. Sono d’accordo quando dice che la tecnologia ha reso le nostre relazioni più fragili e, aggiungo, anche più superficiali. La cosa che più mi ha colpito è una citazione da Bauman sul problema della privacy: nella società moderna e liquida – sostiene Bauman – non proviamo più gioia ad avere segreti. Infatti, la riservatezza è vista con sospetto mentre, per contro, l’esibizione di ciò che si è/si fa, sfocia talvolta in qualcosa che si avvicina alla patologia. Trovare la misura sui social non è facile soprattutto per coloro che come me, appartengono alla generazione che li ha visti nascere ed evolvere nella fase iniziale. Essi continuano a rappresentare una novità, un oggetto in qualche misura misterioso. Alcuni li gestiscono con cautela e diffidenza, altri ancora li rifiutano, convinti come sono che i social siano comunque pericolosi e possano “mordere”. Infine c’è la categoria di quelli che li usano per gioco e purtroppo per alcuni diventano una dipendenza.
Al di fuori di un utilizzo funzionale ad esigenze di lavoro, ad esempio io promuovo online i libri che scrivo con il ghostwriting, i social possono essere un passatempo, un mezzo nuovo per socializzare oppure una schiavitù simile a quella indotta da una droga. Di certo prendono parecchio del nostro tempo, ci permettono di entrare in relazione con altre persone, sconosciuti che salvo rare occasioni, non diventeranno mai nostri amici.
In breve ci accorgiamo che, presi nella rete, boccheggiamo tutti insieme, eppure soli, fino ad esalare l’ultimo respiro in un vuoto desolante.
Eppure non c’è modo di contenere il dilagare del fenomeno. Consuelo Canducci su Linkiesta segnala il caso della Corea del Sud, un paese con 50 milioni di abitanti di cui l’ottanta percento circa possiede uno smartphone e passa in media quattro ore al giorno online a chattare, navigare o fare giochini. La demenza digitale è diffusa a un livello tale per cui le autorità hanno dovuto prendere provvedimenti per i pedoni che camminano con lo sguardo fisso sullo smartphone, introducendo dei cartelli stradali per avvisare la gente dei pericoli che corrono tenendo il naso sul telefonino, intenti a fare un giochino elettronico, senza prestare attenzione a ciò che li circonda.
Sto scrivendo questo post seduta nel dehors di un bar affacciato sul parco Sempione, a Milano, con davanti una bella coppa di gelato. Alzo gli occhi dal tablet: più della metà dei passanti ha lo sguardo fisso sul cellulare, nei tavolini accanto al mio ci sono dei ragazzi che chiacchierano, ridono e si passano di mano lo smartphone, chattano, scattano un selfie di gruppo. Rispetto ai coreani forse sono meno fissati sui giochini, ma è un dettaglio. Solo due signore al tavolo d’angolo sono intente in una conversazione in cui l’attenzione di una è tutta per l’altra, senza mediazioni. Roba d’altri tempi, vita vera. Programmo il post per domattina e chiudo il tablet.
Mi sa che in agosto proverò a prendermi una vacanza di un paio di settimane, anche dalla rete. Che dite, ce la farò?

Immagine dal web

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