Mettere al mondo una bambina non è importante da queste parti…” “Ma è una creatura viva!” dissi con voce tremante indicando il secchio. Ero ancora così spaventata che non osavo muovermi. “Non è una creatura”, mi corresse lei”. (Xinran, Le figlie perdute della Cina)

Nel periodo in cui scrivevo La regola dell’eccesso mi sono dovuta documentare parecchio sulla Cina, uno dei Paesi frequentati da Renato Tormenta, il protagonista del libro, del resto il lavoro di approfondimento è parte inscindibile dell’attività di ghostwriter. In quell’occasione le ricerche mi hanno preso la mano e sono andata alla scoperta della Cina ben oltre quel che sarebbe stato necessario, ho ripercorso la sua storia passata e recente, ho indagato sulle tradizioni del suo popolo, sugli usi comuni e sul ruolo della donna. Ho letto diversi libri di autori cinesi, sono entrata in un universo estraneo a tutto ciò che conoscevo, affascinante per certo versi e orrendo per altri. In questi giorni un articolo del Post commentava il cambiamento del governo cinese rispetto la pianificazione familiare. Infatti, dice il Post, il Comitato centrale del Partito Comunista cinese ha deciso di abolire la legge che stabiliva la cosiddetta “politica del figlio unico” che imponeva ad ogni coppia di avere al massimo un figlio: la legge era in vigore dal 1979 e serviva a ridurre l’aumento della popolazione cinese. Nel 2013 la legge era già stata cambiata per permettere alle coppie in cui almeno uno dei genitori era figlio unico di avere più di un figlio e c’erano alcune eccezioni per le coppie appartenenti a certe minoranze etniche. In futuro ogni coppia potrà avere due figli, senza limiti o preclusioni.

Tutto ciò mi ha riportato alla mente un libro scritto da una giornalista cinese, Xinran, che ha indagato a lungo il tema dell’abbandono delle bambine appena nate e non solo questo. Ho ripreso in mano Le figlie perdute della Cina, l’ho aperto e ho riletto queste righe, riferite a un episodio che la scrittrice ha vissuto nel 1990: “Poco dopo dalla camera della partoriente uscì un giovane sui vent’anni a capo chino, prese una scodella con po’ di zuppa di amido di farina e rientrò nella stanza. Mentre lo guardavo sentii un piagnucolio soffocato nell’angolo dietro di me e, nel girarmi, vidi la donna che doveva essere la levatrice strofinarsi le mani sul grembiule. Il capovillaggio le diede una piccola busta che conteneva il suo compenso e la donna andò via in tutta fretta. A un tratto mi parve di sentire un leggero movimento alle mie spalle e d’istinto guardai in quella direzione. Mi sentii gelare il sangue nelle vene. Con immenso orrore vidi un piedino che sporgeva dall’acqua. Non riuscivo a credere ai miei occhi. Impossibile! La levatrice aveva gettato il neonato vivo nel secchio dell’acqua sporca! Feci per lanciarmi sul secchio…”. Questo libro documenta un fenomeno che probabilmente non è ancora del tutto esaurito e non solo in Cina.

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