Negli ultimi anni il mio lavoro di ghost writer è molto cambiato. Prima, quando finivo di scrivere un libro, dopo le revisioni e l’editing, lo lasciavo andare; oggi il ghostwriting prevede che io collabori attivamente a tutte le fasi di preparazione alla pubblicazione. Compreso la scelta della copertina. Anche in questo ambito le modalità di selezione sono mutate in relazione a nuove necessità. Infatti, la promozione passa soprattutto attraverso i social network e un libro viene visto più online che sugli scaffali di una libreria. Dunque occorre progettare le copertine dei libri in base alla loro resa all’interno delle vetrine dedicate delle librerie digitali, anche se in Italia la vendita online di libri fisici è ancora molto lontana da quella negli Usa, che è intorno al 50 per cento. Secondo l’AIE, l’Associazione Italiana Editori, nel 2014 è stata del 13,8, quella di ebook del 3,4 per cento.
Da noi i creativi che si occupano di sviluppare le cover hanno imparato a tenere nel dovuto conto anche questi aspetti? Quanto è importante conoscere e definire gli elementi su cui puntare per una copertina d’effetto? Cosa contribuisce ad attirare l’attenzione dei potenziali lettori?
Giacomo Papi ha affrontato il tema in modo approfondito in un interessante articolo su Il Post che offre una panoramica dei punti di vista di famosi art director; tra gli altri, Riccardo Falcinelli ideatore di cover per Einaudi, Minimun Fax, Laterza, Carocci e altri, il quale sostiene che “su una copertina i punti focali possibili sono tre: il nome dell’autore, se è molto famoso, il titolo se è memorabile, ma è molto raro, oppure l’immagine, che invece si può trovare sempre”.
Per quanto mi riguarda non sono molte le copertine che suscitano la mia curiosità al punto di farmi venire la voglia di prendere in mano proprio un certo libro. Salvo le dovute eccezioni, mi pare ci sia un appiattimento nelle scelte di temi e toni Ad esempio, resistono certi stereotipi, legati al colore o al tipo di immagine che inquadrano alcuni generi letterari, consuetudini che forse ora, invece di indicare un segno distintivo, cominciano a costituire un limite. Si avverte la necessità di esplorare nuove soluzioni, fuori da ogni vincolo. Un obbiettivo tutt’altro che facile da raggiungere.
Un aspetto del mio lavoro che mi procura dei bei mal di testa. Anche oggi, che sono alle prese con la cover del prossimo libro in uscita.
Sopra immagine presa da Il Post – sotto le cover de La regola dell’eccesso e Tessa e Basta
Grazie Susanna, è un tema interessante. In effetti, pur avendo letto da poco l’ultimo della Strout e l’ultimo di Marylin Robinson (che consiglio!) sebbene mi stia concentrando, non ne ricordo il titolo. Ricordo senz’altro i nomi degli autori, perché famosi. Si trattasse di autori agli esordi immagino sarebbe più difficile. Le cover, invece, le ricordo bene. Quindi, forse, significa che c’è dietro uno studio sapiente.
Durante una lezione in Feltrinelli, diversi anni fa, Francesco Colombo (credo che attualmente sia editor in Einaudi) ci fece notare che da quando c’era stato il successo de “La solitudine dei numero prima”, la cui cover riportava due occhi sgranati, le cover di libri usciti successivamente utilizzavano spesso come tema dominante un paio di occhi. Come a dire che le case editrici nella scelta delle cover tendono a seguire le orme di chi ha già ottenuto successo con un dato libro e una data cover.
Questo spazzerebbe via i mal di testa che porta cercare di individuare un’immagine originale ed efficace. Che noia però!
Grazie per il commento, Nicoletta. Dopo la tendenza a focalizzare l’attenzione sugli occhi, è iniziata quella che inquadra il lato B (Missiroli docet) per non dire dei sostenitori del ritorno al segno grafico. Io sono convinta che ci si debba impegnare per una copertina che faccia ricordare almeno l’autore del libro, se non il titolo. Credo anche che le esigenze legate alla diffusione online dei libri costringano chi si occupa di grafica a un maggiore impegno rispetto a un tempo. Avremo copertine più belle? Lo scopriremo… leggendo.