Prendo spunto dall’articolo de Il Post che parla dell’abitudine condivisa dai viaggiatori di ogni tempo di tenere dei diari di viaggio sfruttando modalità diverse a seconda delle epoche. Oggi documentiamo ciò che vediamo con fotografie condivise istantaneamente sui social network mentre in passato chi viaggiava portavano con sé quaderni, matite, colori per passare in seguito a macchine fotografie più o meno ingombranti avendo come punto d’arrivo sofisticatissimi smartphone, comodi da tenere in tasca. Nel mio lavoro di ghost writer ho avuto modo di esaminare molti diari di viaggio, e molto diversi tra loro per forma e contenuto, appartenti ai miei narratori, le persone che mi raccontano oralmente le storie che traduco in un romanzo. Grazie ai documenti che hanno voluto condividere con me, ho ripercorso i loro itinerari, sia pure virtualmente. Sulla base di ciò che ho visto, posso dire che ci sarebbero altre storie da raccontare, molto da dire oltre a ciò che ho scritto nei libri che li riguardano. Interessante anche il diverso atteggiamento di ciascun narratore nei confronti di foto e filmati che in alcuni casi sono lasciati liberamente a disposizione per la promozione del libro mentre in altri, e sono la maggioranza, ne limitano la visione solo a me. I motivi sono tanti e differenti e sarebbe complicato analizzarli qui, facendo i dovuti distinguo.
Tra le tante immagini che mi hanno accompagnato nella scrittura dell’ultimo libro pubblicato, La bambina con il fucile, e che mi sono state cortesemente fornite da Massimiliano Fanni Canelles, che mi ha raccontato la storia, ce ne sono molte che testimoniano la violenza della natura e quella dell’uomo, non tutte sono adatte a essere messe in rete. Il libro racconta la storia di Pratheepa, la bambina soldato tamil e dell’intervento di Max in Sri Lanka l’indomani dello tsunami, due storie destinate a intrecciarsi in cui c’è tutto il male e il bene del mondo.
Alcune fotografie mi hanno permesso, ad esempio, di guardare le conseguenze dello tsunami del 26 dicembre 2004 attraverso gli occhi di Max e di  scriverne. Nell’immagine che vi propongo, scattata più o meno un mese dopo la grande onda, vediamo i resti dell’
espresso Colombo-Matara su cui viaggiavano un migliaio di persone. Il 26 dicembre, Poya Day, giorno di festa per la luna piena, la popolazione era in festa e c’era un grande mercato, a Matara. Il treno aveva dieci carrozze. Non arrivò mai a destinazione.

ghost writer

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