“Sto male, sono depresso. Vivere ogni giorno è una tortura. Mi sento sempre incazzato, incompreso e nervoso. Allora cerco di stare solo e poi mi trovo con il morale ancora più giù. La sostanza era la mia medicina, mi faceva stare meglio, mi calmava. Credevo di stare bene, ma era una illusione. Un giorno mi sono guardato allo specchio: non ero io, era un altro che pareva un cadavere. Per questo sono qui. Mi sono perso”. Cit. da La regola dell’eccesso.
Qualche sera fa ho visto la trasmissione di Michele Santoro, “Italia”, incentrata su un reportage dal titolo “Babyricchi” che raccontava dello spaccio di cocaina in un liceo romano. Gli stessi studenti hanno raccontato di come la droga circoli liberamente, nonostante la direzione ne sia a conoscenza. La droga viene consumata anche in classe. L’utilizzo di sostanze stupefacenti è sempre più diffuso, in qualche modo perfino legittimato al punto che l’uso di alcune di esse è quasi socialmente accettato e del problema si parla sempre meno. Invece, ieri come oggi, le persone soggette a una qualsiasi dipendenza diventano degli schiavi. Lo sa bene chiunque abbia vicino uno di loro, un parente, un amico a cui tiene davvero. Io l’ho imparato mentre scrivevo La regola dell’eccesso. Renato Tormenta continuava a ripetermi che “le sostanze ti legano con una catena che non si spezza mai. Ti tolgono la libertà“.
Eppure oggi drogarsi è facile molto più che un tempo. L’età dei consumatori si sta abbassando, in alcuni casi il problema si presenta già alle medie nella fascia d’età dai dodici ai quindici anni. L’unico strumento per contrastare il fenomeno, è fare capire ai ragazzi cosa rischiano utilizzando determinate sostanze e sperare che recepiscano l’informazione. In Islanda, invece, hanno adottato un sistema solo apparentemente semplice: offrire ai ragazzi un gran numero di attività extra scolastiche e fare in modo che i genitori passino più tempo con i loro figli, così da renderli molto impegnati e sempre sottoposti al controllo degli adulti. Il metodo, descritto in un articolo de Il Post, ha basi scientifiche e ha avuto ottimi risultati perché l’Islanda è in grado di programmare progetti sociali nazionali di lungo periodo e ha un basso numero di abitanti. Ma questo modello non è riproducibile per l’Italia. E allora? Allora chissà quanti di noi saranno destinati ad affrontare, da dentro o da fuori, lo stesso dolore e gli stessi percorsi descritti da Renato Tormenta, dalle droghe all’alcol a un lungo elenco di dolorosi tentativi di disintossicazione, sperando che la libertà, quando è raggiunta, duri. Ora dice: «Sono ancora giovane, ma ho molto vissuto e nella mia vita sono entrate anche cose cattive. Da parecchio non bevo e non mi drogo. È una sorpresa anche per me che ho sprecato tanto del mio tempo assumendo qualche sostanza: erba, cocaina, eroina e poi l’alcol. Chi fa uso di sostanze, qualsiasi sia il tipo di dipendenza, non lo dimentica più. È come un tatuaggio, non puoi cancellarne del tutto la traccia, qualcosa rimane sempre. E ricorderai quando te lo sei fatto, la macchinetta, i buchi, il sangue che esce. Ho lasciato tutto alle spalle, anche la bottiglia, ma continuo a lottare. Non è così facile. Tengo sempre alta la guardia. Se qualcuno mi chiede se sono guarito dal bere, devo rispondere no. Sono solo sulla via del recupero, sono un astinente ancora non troppo sobrio. Ogni giorno è un’incognita. Anche oggi ho vinto una battaglia, ma so che non equivale ad avere vinto la guerra. Smetterò di essere in armi solo quando morirò».