Ágota Kristóf è una scrittrice che amo molto, in particolare alcuni suoi libri, come Ieri e La trilogia della città di K, sono tra i miei preferiti e in una pagina del mio blog, precisamente qui, riporto una sua citazione ripresa da La trilogia, coerente con il mio lavoro di ghost writer:“… ogni essere umano è nato per scrivere un libro, e per nient’altro. Un libro geniale o un libro mediocre, non importa, ma colui che non scriverà niente è un essere perduto, non ha fatto altro che passare sulla terra senza lasciare traccia”.

Ágota Kristóf (Csikvánd, 30 ottobre 1935 – Neuchâtel, 27 luglio 2011) scrittrice ungherese naturalizzata svizzera, in qualità di autrice si è espressa quasi esclusivamente in francese, la sua seconda lingua che non riuscirà mai a padroneggiare pienamente, una circostanza che, nella narrazione autobiografica, porterà la scrittrice a definire se stessa come un’analfabeta. Proprio “L’analfabeta” è il titolo della raccolta di scritti autobiografici composti all’inizio degli anni Novanta di cui la Kristóf dice “Quelli dell’Analfabeta sono testi di vent’anni fa. Ho dato tutto quanto all’Archivio perché non avevo alcuna intenzione di pubblicare i vecchi testi. Per me sono finiti, come se li avessi gettati via. Qualcuno, editori italiani, li ha trovati, gli sono sembrati interessanti, li ha richiesti”. Una vera fortuna per noi che possiamo avere il privilegio di leggere la storia di una bambina che fin da piccolissima scopre il suo amore per le parole scritte tanto che viene schernita proprio per la “troppa” passione per la lettura. È costretta a seguire un percorso doloroso segnato dagli orrori della guerra, infatti la Kristóf racconta una storia di migrazione uguale nella sostanza a quelle che l’hanno preceduta e a quelle cui assistiamo ora, e questo insegna che nella vita non esistono certezze, ma resta sempre la speranza. Lei stessa è artefice della propria rinascita attraverso la scrittura, nonostante le difficoltà del dovere imparare una lingua diversa, e recupera la propria identità. Il prezzo che paga è comunque altissimo, come si evince da queste poche righe tratte proprio da L’analfabeta:

“La cosa strana, sono i pochi ricordi che ho di tutto questo. Come se tutto si fosse svolto in un sogno o in un’altra vita. Come se la mia memoria rifiutasse di ricordare il momento in cui ho perso una parte importante della mia vita. Ho lasciato in Ungheria il mio diario della scrittura segreta, e anche le mie poesie. Ho lasciato là i miei fratelli, i miei genitori, senza avvisarli, senza dir loro addio, o arrivederci. Ma soprattutto, quel giorno, quel giorno di fine novembre del 1956, ho perso definitivamente la mia appartenenza a un popolo”.

Per chi volesse approfondire, segnalo qui una interessante intervista di Ágota Kristóf.
La quarta: Undici capitoli per undici episodi della sua vita, dalla bambina che divora i libri in Ungheria alla scrittura dei primi libri in francese. L’infanzia felice, la povertà del dopoguerra, gli anni di solitudine in collegio, la morte di Stalin, la lingua materna e le lingua nemiche (il tedesco, il russo e in un certo senso anche il francese), la fuga in Austria e l’arrivo a Losanna, profuga con un bebè. Quella che Agota Kristof ci racconta nell’Analfabeta è una storia tenera e spiritosa, asciutta, senza una parola di troppo.
L’analfabeta, racconto autobiografico di Ágota Kristóf
pagine 51 – Edizioni casagrande, 2005
Traduzione di Letizia Bolzani

 

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