Nella scrittura di un romanzo che prende spunto da vicende reali, per esempio un romanzo autobiografico, occorre tenere presente alcuni aspetti fondamentali legati alla tutela della privacy delle persone che, spesso loro malgrado, si trovano ad abitare la storia. È un dato che rimarco con chiarezza a coloro che intendono raccontarmi il loro vissuto affinché io lo traduca in un romanzo: nel passaggio dalla vita reale alle pagine di un libro lo scrittore trasforma le persone in personaggi e costruisce una trama giocata su un mix di realtà e invenzione con al centro il narratore, l’eroe della storia. L’adozione della formula del romanzo dà dignità di opera letteraria alla narrazione.

La scrittura in forma romanzata produce un’amalgama tra la rielaborazione narrativa e gli avvenimenti reali e in una certa misura di per sé allontana il rischio che comporta il mettere in scena vicende e persone che appartengono alla realtà. Riguardo la riconoscibilità, cambio i nomi e adatto alcuni tratti caratteristici dei personaggi, una dovuta presa di distanza dagli uomini e dalle donne che mi sono d’ispirazione, presi dalla vita del narratore; quasi sempre modifico il contesto in cui si svolgono i fatti, i luoghi e anche le date. Ogni volta valuto come intervenire in relazione al tipo di rilevanza che hanno gli accadimenti su cui costruisco la trama. Ci sono rivelazioni che possono sconvolgere la vita di un coniuge, oppure che coinvolgono minori, armadi aperti su scheletri piegati dal dolore. Ci sono anche belle storie basate su narrazioni che possono risultare perfino consolatorie per qualcuno. Ogni caso è a sé, ed è impossibile generalizzare, e tuttavia non è mai certo che ciò ci possa salvare dai fastidi quando descriviamo qualcuno in modo negativo, se questo qualcuno si riconosce (o risulta riconoscibile da altri).

Spesso il narratore è ansioso di capire se si sentirà nella “sua storia” nonostante questi cambiamenti. La risposta è sì perché non verrà alterata la veridicità dei fatti principali. La voce sarà la sua  anche se il fondale della scena sarà diverso dal contesto reale e certi personaggi, come diversi dettagli, saranno trasfigurati più di altri per depistare chi potrebbe identificarsi. L’adozione di accortezze utili per confondere o quantomeno rendere dubbia o equivoca la riconoscibilità di chi agisce in una storia, suo malgrado, è indispensabile.

Quando uso la mia penna in qualità di scrittore al servizio delle storie di altri, rielaboro le vicende e i personaggi che le muovono secondo un principio di base: ogni cautela deve essere osservata nel momento in cui condivido in chiaro la paternità del testo, ovvero sulla copertina del libro il mio nome compare accanto a quello del mio narratore, dunque siamo coautori.

Quando assolvo il ruolo di scrittore fantasma senza assumere la paternità dell’opera, quindi scrivo senza comparire come autore ed è solo il mio narratore ad avere il nome in copertina, consiglio sempre di seguire una linea di cautela per non rischiare di incorrere in qualche guaio. Questo vale soprattutto se il narratore/autore intende pubblicare il libro mentre è diverso il caso in cui l’opera sia destinata a un uso privato (la definizione di libro privato è comunque molto ampia). In questi casi il narratore può perfino assumersi la responsabilità di mettere sulla pagina i personaggi con i nomi reali, consapevole delle eventuali conseguenze che possono andare ben oltre la rottura di una amicizia, o il divorzio dal compagno di una vita.

Se da un lato è vero che non è obbligatorio avere l’autorizzazione per menzionare qualcuno, dall’altro se nel libro lo tratteremo male e in più racconteremo di quella volta che ha tradito sua moglie, potremo avere dei problemi: dai musi, alla lite, ai guai seri con denunce per diffamazione e/o per violazione della privacy.

Per dribblare il problema è possibile chiedere che venga sottoscritta una liberatoria che avremo cura di far redigere da un legale, ma… C’è sempre un ma, infatti il personaggio in questione quasi sicuramente risponderà: “Prima leggo cosa scrivi di me, poi firmo. Forse!”. È una strada che sconsiglio di percorrere, salvo che in particolari casi, infatti è noto che i libri non si possono scrivere con una mano legata dietro la schiena.

In nome della libertà di raccontare la storia di una vita dal proprio punto di vista, e di pubblicarla, molti autori decidono di firmare il libro con uno pseudonimo letterario, un nom de plume che funziona da ombrello per parecchie questioni. Per esempio, nel caso di un romanzo autobiografico l’autore in incognito ha il vantaggio di mantenere l’anonimato, e di conseguenza la privacy, contenendo i rischi di una eventuale rivendicazione da parte dei personaggi che metterà in scena, rispettando comunque le dovute accortezze.

Foto di Tumisu da Pixabay

 

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