Si tratta di un segno grafico, una piccola e rovescitata (ǝ), che nell’ultimo anno è stato oggetto di ampio dibattito, e anche di alcune polemiche, da parte dei linguisti e di alcuni giornalisti.

Lo schwa è una delle soluzioni che possiamo adottare quando ci dobbiamo rivolgere a una moltitudine di persone e sostituisce il plurale maschile indifferenziato che rappresenta la prassi finora in uso nella nostra lingua quando il gruppo cui ci riferiamo contenga anche un solo maschio. Tale opzione, ma ce ne sono anche altre che prevedono per esempio l’uso dell’*, permette a chiunque di essere egualmente rappresentato: donne, uomini, appartenenti alla comunità LGBTQ+, chiunque non si riconosca in una categoria.

Al momento le discussioni sull’uso dello schwa interessano relativamente poche categorie di persone tra coloro che hanno a che fare con la scrittura, ma in realtà rappresenta un tema importante, seppure divisivo, perché indica un percorso che ha l’obiettivo di rendere l’italiano una lingua più inclusiva e, cosa non da poco, meno legata al predominio del genere maschile. E qui si apre un mondo!

Vera Gheno, sociolinguista, traduttrice e docente universitaria impegnata nello studio dei cambiamenti della lingua, spiega che lo schwa o scevà (all’italiana) è un simbolo dell’Alfabeto Fonetico Internazionale, o IPA, che è un alfabeto che permette di rappresentare per iscritto tutti i suoni presenti nelle varie lingue in uso. Il simbolo dello schwa è una piccola e rovesciata, la schwa per il singolare (ǝ) e la schwa lunga per il plurale (з). Vera Gheno dà anche alcune indicazioni riguardo la fonetica dello schwa: “… un suono neutro, non arrotondato, senza accento o tono, di scarsa sonorità” (ci dice Treccani); sta al centro del quadrilatero vocalico, cioè tra A, E, I, O, U, e corrisponde al suono che si emette se non si deforma in alcun modo la bocca, “a bocca rilassata”. Esiste naturalmente in diversi dialetti meridionali (/Nàpulə/). Per quanto io stessa ne veda i limiti fortissimi, ogni tanto, quando scrivo per contesti nei quali le questioni di genere sono particolarmente sentite, scrivo cose come “Carə tuttə.

Lo schwa non si trova, di norma, nelle tastiere standard, ma solo nella mappa dei caratteri. Utilizzando Word è possibile pescarlo partendo dal menu Inserisci, selezionando Simboli e poi Caratteri speciali, Sottoinsieme Estensioni IPA. Qui è possibile individuare lo Schwa.

Tutti meritano di essere egualmente rappresentati e sono convinta che in molti contesti sia necessario cambiare abitudini e registro scegliendo di aggiornare il linguaggio con l’adozione di soluzioni adeguate alla realtà in cui viviamo, ma in questo caso vivo faticosamente la transizione. Ormai non mi stupisco se mi arriva una comunicazione che inizia con Carə tuttə o Car* tutt*, ma quando lo scevà, o l’asterisco, sono inseriti in un testo di narrativa provo fastidio, e parecchio. Da lettrice ne ho fatto l’esperienza di recente leggendo un racconto breve in cui il segno dell’asterisco è sparso nel testo come le stelle la notte di San Lorenzo. Mi sono trovata a borbottare: qui no, non ci sta, è una forzatura; insomma, può guastare il sapore di una buona lettura.

Da un lato concordo con Gheno, la lingua deve conformarsi alle nuove esigenze sociali; dall’altro penso che ci vorrà tempo prima che un cambiamento di tale portata entri nell’uso comune, infatti presuppone a monte una evoluzione culturale assai improbabile, almeno in tempi brevi, per la maggior parte delle persone. Da parte mia, anche come scrittrice stento a mettere in pratica la novità che pure mi sembra corretta nella sostanza. Di recente, in qualità di ghostwriter ho scritto un romanzo che pone al centro il tema della ricerca dell’identità sessuale, dunque affronta questioni di genere. Ho ragionato sulla questione della rappresentanza di categorie diverse nella mia scrittura, poi ho deciso di restare nel solco della tradizione e ho lasciato perdere l’idea di usare lo scevà o gli asterischi. Credo che per la narrativa i tempi non siano ancora maturi.

E poi vi immaginate quanti lettori potrebbero scambiare un segno grafico sconosciuto con un refuso, e per giunta reiterato? È presto, meglio non rischiare. 😊

Vera Gheno ha stilato una lista di soluzioni diverse e/o alternative allo schwa:
– Il tradizionale maschile sovraesteso: Cari tutti, siamo qui riuniti…
– La doppia forma: Care tutte e cari tutti, siamo qui riunite e riuniti…
– La circonlocuzione: Care persone qui riunite…
– Il femminile sovraesteso
– L’omissione dell’ultima lettera: Car tutt, siamo qui riunit…
– Il trattino basso: Car_ tutt_, siamo qui riunit_…
– L’asterisco: car* tutt*, siamo qui riunit*…
– L’apostrofo: Car’ tutt’, siamo qui riunit’…
– La chiocciola: car@ tutt@, siamo qui riunit@…
– Lo schwa: Carə tuttə, siamo qui riunitə…
– La u: Caru tuttu, siamo qui riunitu…
– La x: Carx tuttx, siamo qui riunitx…
– La y: Cary tutty, siamo qui riunity…
– L’inserimento di entrambe le desinenze: Carei tuttei, siamo qui riunitei…
– Entrambe le desinenze divise dal punto: Care.i tutte.i, siamo qui riunite.i…
– Le desinenze divise con la barra: Care/i tutte/i, siamo qui riunite/i…

Per saperne di più:
https://italianoinclusivo.it/
https://thesubmarine.it/2020/08/03/schwa-linguaggio-inclusivo-vera-gheno/
https://lafalla.cassero.it/lo-schwa-tra-fantasia-e-norma/
https://www.valigiablu.it/linguaggio-inclusivo-dibattito/

In apertura foto di Syaibatul Hamdi da Pixabay

 

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