L’11° Rapporto annuale Federculture 2015 delinea un quadro delle dinamiche in atto nel paese, pieno di chiaroscuri. Tornano a crescere la spesa in cultura e ricreazione delle famiglie italiane, +2%, e la fruizione culturale, visite a siti archeologici e monumenti +5,8%, concerti e teatro +2,2%. Ma, se da una parte la crisi degli anni passati sembra superata, sono molti i segnali allarmanti sulla vita culturale del Paese: l’astensione complessiva dalle attività culturali raggiunge il 19,3%. Circa un quinto degli italiani, cioè, non partecipa a nessuna attività culturale, percentuale in crescita, nel 2010 era pari al 15,2%, e che raggiunge picchi del 30% nelle regioni del Sud Italia. In alcuni settori, come il teatro o i concerti classici, l’astensione raggiunge livelli dell’80-90%. Occorre dunque ripartire dall’educazione e dall’offerta per rilanciare la partecipazione ma rimane irrisolto il nodo delle risorse a sostegno dello sviluppo del settore. Nel pubblico si è fermata l’emorragia degli scorsi anni, Fus e bilancio Mibact sono stabili, ma quest’ultimo rappresenta ancora solo lo 0,13% rispetto al PIL e lo 0,19% del bilancio dello Stato. Ancora insufficienti e in diminuzione le risorse private: le erogazioni liberali diminuiscono del 19% e gli interventi delle fondazioni bancarie del 12%. Sono in difficoltà anche le aziende culturali: tra 2008 e 2014 sono diminuiti del 28,3% i contributi pubblici e del 24,1% quelli privati ed è di conseguenza calata la produzione del 7,5%. Se da un lato si evidenzia anche nella fruizione un riavvicinamento dei cittadini alla cultura: aumentano nel 2014 coloro che frequentano il teatro +2,2%, il cinema +1,7%, e quelli che visitano musei e mostre +7,7%, dall’altro si registrano anche dei cali come quello dei lettori, -3,7% e quelli relativi all’astensione culturale che dimostrano come in molte aree del Paese l’80% dei cittadini non metta mai piede a teatro o non entri mai in un museo.
Info: http://www.federculture.it/xi-rapporto-annuale-federculture/
A volte ci sono notizie con contengono una fiammella di speranza in un futuro migliore. Tra queste quella che riguarda un progetto bolognese, promosso da Etta Polico nella sua qualità di presidente dall’associazione ”Serendippo”, una parola inconsueta, un termine di origine araba che definisce lo stupore di fare una scoperta casuale. Etta Polico, laureata in lingua cinese e che proprio in Cina ha vissuto per un lungo periodo, ha messo a disposizione un appartamento adiacente a quello in cui lei abita, in via Mascarella a Bologna, dopo averlo trasformato in una casa-biblioteca aperta a tutti, per la libera consultazione dei libri qui raccolti: circa 4.000 volumi di storia, geografia, economia, alcuni sono rari manoscritti originali, riguardanti l’Asia e l’Africa. L’appartamento, ubicato nel cuore della Bologna universitaria, custodisce rari manoscritti cinesi del Seicento oltre a pubblicazioni dal dialetto berbero. Nei piani di sviluppo del progetto è previsto che la Casa Biblioteca venga ulteriormente trasformata in un bed&breakfast. Bologna ancora una volta insegna nuovi percorsi per fare cultura, speriamo sia solo un inizio, d’esempio per altri.
Mi piacciono i cappelli e ne possiedo una discreta collezione. Alcuni sono vecchi cappelli “di famiglia”, più che altro reperti che appartengono alla biografia della nonna e, nonostante gli ammacchi del tempo, restano un segno tangibile della memoria cui non intendo rinunciare. Gli altri, quelli che ho scelto e comperato per me, li indosso di rado perché spesso li trovo poco pratici. Parlo di cappelli veri, non di berretti, ma di modelli con la veletta, a tesa larga, sombreri, cilindri, pagliette e colbacchi, tube e, naturalmente, i borsalino perché amo anche i cappelli da uomo. Già il poterli provare, giocare davanti a uno specchio cambiando foggia e colore, mi mette di buonumore. Ogni copricapo mi trasforma nel personaggio di una storia che in qualche modo, anche se di fantasia, mi appartiene. Sì, lo so, forse è un atteggiamento un po’ bambinesco, ma è così piacevole! Il tornare indietro nel tempo attraverso un oggetto che ci è caro, ci aiuta a frugare nel passato per ricostruire qualche pezzetto della nostra storia, casomai volessimo tentare l’esperimento di riordinare i ricordi di una vita per la nostra autobiografia romanzata.
Il saggio di Mario Bonanno ripercorre l’Italia dei cantautori dal 1988 al 2013, cui molti di noi sono legati. Come dice lo stesso autore, “La musica è finita. Quello che resta della canzone d’autore” (Stampa alternativa, 2015), “è una specie di rewind. Un nastro che si srotola a ritroso nel tempo e nello spazio, nel senso che fa il punto su trent’anni di storie, tracce, temi, incroci personali con la canzone d’autore italiana. Spero non suoni come passatista, e nemmeno come un libro pretenzioso: per libere associazioni e altrettanto libere divagazioni ho provato a raccontare in questo modo un po’ del nostro tempo migliore. Il tempo in cui le parole dentro ai dischi contavano, suonavano, cantavano a dovere. Ed erano fosforo e sale della terra. Frame sparpagliati di teorie e prassi della canzone d’autore che c’era una volta e che oggi non c’è più.” Mario Bonanno, musicolo catanese, appassionato e profondo conoscitore di musica cui la definizione di leggera, a volte risulta del tutto inappropriata, con questo libro ci porta a ripercorrere la nostra biografia personale attraverso le note che l’hanno accompagnata e ne hanno scandito il tempo.
Molti lo hanno definito un film “per cinefili”, ma questo non è certo il modo migliore per descriverlo: si tratta semplicemente di un’opera di grande qualità, fra le migliori della stagione, il film che verrà presentato presso…
Dal 20 luglio al 12 ottobre 2015, presso il MIC – Museo Interattivo del Cinema, in occasione della mostra I colori del rosso organizzata da Galleria Campari, Fondazione Cineteca Italiana presenta I COLORI DEL ROSSO – I FILM…
A spasso per Siena nei giorni del Palio di luglio è impossibile non notare la scritta sopra l’antico portone: “Accademia degli intronati”.
Il sole scioglie anche i pensieri, perfino quelli di uno scrittore fantasma, per loro natura evanescenti. L’ultimo che formulo prima di cadere in deliquio, il cervello che bolle e il buon senso squagliato, è che forse quello è il posto per me. Infatti, è proprio così che mi sento: intronata. Mi sforzo di ragionare e mi assale un dubbio: possibile che esista un’Accademia per gli storditi, i balordi, gli stupidi?
Così scopro che l´Accademia degli Intronati, nata nel 1525, assunse questo nome a significare il desiderio dei fondatori di ritirarsi dai rumori del mondo, dai quali erano come sbalorditi (intronati, appunto), per dedicarsi alle commedie e agli studi di lingua e letteratura. L´origine degli Intronati va collocata in quella fioritura culturale che caratterizzò la Siena del primo Cinquecento, capace di far registrare la presenza di oltre trenta accademie cittadine. Alcune di queste sicuramente rintracciabili anche nell´ultimo scorcio del Quattrocento, quando, ad esempio, va ricordata la presenza dell´Accademia Grande, animata da alcuni docenti dello Studio senese e che, secondo certa bibliografia, è alle origini degli stessi Intronati.
A riprova che spesso una cosa vale per come appare e anche per il suo contrario.