Ricordi&Memorie: Mark Twain, Autobiografia da pubblicare cent’anni dopo la morte secondo la volontà dell’autore

Scritture&Scrittori By Maggio 5, 2014 No Comments

Mark-Twain-web“Ce l’ho fatta! Non sai che divertimento ti perdi finché non ti metti a dettare la tua autobiografia… e quanto somiglia al parlato, quanto sembra reale, quanto scorre bene…e che freschezza che ha, di rugiada, brezza e legno”. Così scriveva Mark Twain nel 1904 in una lettera a un amico, per comunicargli trionfante di aver trovato la formula giusta per raccontare la sua vita. Dopo trentacinque anni di false partenze e una montagna di scartafacci cestinati, ecco l’intuizione giusta: dettare le proprie memorie invece di scriverle – il “parlato” gli garantiva una fluidità del racconto incomparabile con “qualsiasi imitazione se ne possa fare con la penna”. Detto fatto, nel gennaio del 1906 comincia le dettature giornaliere e tre anni dopo l’opera è compiuta, ma… c’era un ma: bisognava aspettare cent’anni dopo la sua morte. “Un libro destinato a essere pubblicato un secolo dopo dà allo scrittore una libertà altrimenti impossibile”. Da se stesso al padreterno, l’ironia di Twain non risparmia nessuno e ci regala oggi l’ennesimo capolavoro. Un corpo a corpo, durato quasi quarant’anni: questo è stato il rapporto tra Twain e la sua autobiografia. Risale infatti al 1870 la prima decisione di mettere nero su bianco la sua vita. Proposito naufragato nel giro di qualche infruttuoso tentativo. Da allora fino al 1905, quel tarlo portò Twain ad accumulare una quarantina di false partenze finché all’alba del gennaio 1906, ecco la svolta: Twain cominciò a dettare a una stenografa quella che finirà per approvare come la sua definitiva autobiografia. Tre anni più tardi, dopo 250 dettature e oltre mezzo milione di parole, l’opera poteva dirsi compiuta, ma a una condizione: la pubblicazione sarebbe avvenuta solo cent’anni dopo la sua morte. “Scrivere un libro destinato alla pubblicazione un secolo dopo consente una libertà senza pari. Solo così puoi parlare apertamente di chiunque, senza timore di ferire i suoi sentimenti, né quelli dei figli o dei nipoti”. Questo fu il mandato di Twain, e trascorso il secolo da lui preordinato, ecco che finalmente nel 2010 la University of California Press ha dato alle stampe l’unica autentica autobiografia, così come concepita dall’autore e senza le censure e i rimaneggiamenti indebitamente apportati dai curatori delle precedenti edizioni. E così il vero Twain ha sbaragliato record e classifiche di vendita negli Usa, grazie al vulcanico racconto dei suoi ricordi a briglia sciolta, in barba a ogni ordine o cronologia, e soprattutto senza remore né riguardi per chicchessia. Forte dello straordinario successo ottenuto in America – oltre 400000 copie vendute e 42 settimane in classifica –, arriva oggi ai lettori italiani pubblicata da Donzelli Editore.

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Il senso di una storia: Terra matta, l’autobiografia di Vincenzo Rabito

Scritture&Scrittori By Maggio 2, 2014 No Comments

Terra-Matta-web“Se all’uomo in questa vita non ci incontro aventure, non ave niente darracontare”.

Scritto in una lingua inventata giorno per giorno e con un inarrestabile passo narrativo, Terra matta (Einaudi) parla del carattere del nostro Paese, stagliandosi, pagina dopo pagina, come una straordinaria epopea dei diseredati. Un bracciante siciliano si è chiuso a chiave nella sua stanza e ogni giorno, dal 1968 al 1975 ha ingaggiato una lotta solitaria contro il proprio semi-analfabetismo, ha digitato su una vecchia Olivetti la sua autobiografia. Ha scritto, una dopo l’altra, 1027 pagine a interlinea zero, senza lasciare un centimetro di margine superiore né inferiore né laterale, nel tentativo di raccontare tutta la sua «maletratata e molto travagliata e molto desprezata» vita.  Ne è venuta fuori un’opera monumentale, forse la più straordinaria tra le scritture popolari mai apparse in Italia, sia per la forza espressiva di questa lingua mescidata di italiano e siciliano, sia per il talento narrativo con cui Rabito è riuscito a restituire da una prospettiva assolutamente inedita più di mezzo secolo di storia d’Italia.  Imprevedibile, umanissimo e strepitosamente vitale, Terra matta ci racconta le peripezie, le furbizie e gli esasperati sotterfugi di chi ha dovuto lottare tutta la vita per affrancarsi dalla miseria; per salvarsi la pelle, ragazzino, nel mattatoio della Prima e poi della Seconda guerra mondiale; per garantirsi un futuro inseguendo (con «quella testa di antare affare solde all’Africa») il sogno fascista del grande impero coloniale in «uno miserabile deserto»; per arrabattarsi, in mezzo a «brecante e carabiniere», tra l’ipocrisia, la confusione e la fame del secondo dopoguerra; per tentare, a suo modo («impriaco di nobilità»), la scalata sociale con un matrimonio combinato e godere, infine, del benessere degli anni Sessanta, la «bella ebica» capitata ai suoi figli, ritrovandosi poi sempre, o quasi sempre, «come la tartaruca, che stava arrevanto al traquardo e all’ultimo scalone cascavo». Dal libro è stato liberamente tratto anche un film, “Terramatta” di Costanza Quatriglio, vincitore del Nastro d’Argento 2013 e “Film della Critica” 2013.

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Diario di una prigionia

Eventi By Aprile 28, 2014 No Comments

Lunedì 28 aprile 2014, ore 18,00

La Feltrinelli Via Manzoni – Milano

Come-vuoi-morire-webIl 3 aprile del 2013 Susan Dabbous, giornalista di origini siriane, è stata rapita in Siria insieme ad altri tre reporter italiani. A sequestrarli, a Ghassanieh, un villaggio cristiano, è stato Jabhat al-Nusra, un gruppo legato ad al-Qaeda. Sono stati arrestati davanti a una chiesa sconsacrata, dove stavano filmando un documentario per la Rai. Portata inizialmente in una casa prigione, Dabbous è stata poi separata dai suoi colleghi e trasferita in un appartamento con una donna, Miriam, moglie di uno jihadista. È stata la nuova carceriera a occuparsi dell’islamizzazione di Susan che con lei ha pregato e ascoltato i discorsi di Osama bin Laden e ha dovuto riflettere su una domanda che in quei giorni le è stata rivolta più volte: “Qual è la tua morte preferita?”. Un quesito cui Dabbous ha tentato di rispondere con sincerità, “perché quando sei un ostaggio non dici bugie. Così ho parlato da donna a donna con quel linguaggio assolutamente universale fatto principalmente di emozioni”. La liberazione è arrivata dopo undici giorni, a seguito di un accordo concluso dai servizi segreti italiani. Dopo un breve periodo in Italia, Susan è partita di nuovo per il Libano, dove viveva da oltre un anno, e lì ha scoperto che un suo amico nel villaggio di Atme, in Siria, era stato torturato solo per avere informazioni su di lei. In Come vuoi morire? (Castelvecchi), Susan Dabbaous racconta la sua prigionia. Intervengono Andrea Iacomini, Pierfrancesco Majorino e  Chiara Ribichini.

La Feltrinelli Librerie

Via Manzoni, 12 – MIlano

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