14 novembre 2014

_storia-di-una-vedova-1384321685-web“Tornando nella casa buia, dopo essermi lasciata Princeton alle spalle, mi sento come una freccia appena scoccata – verso quale bersaglio?”

La vita da sola dopo quasi cinquant’anni in due. Una vita dimezzata, ma non una vita a metà. Il memoir Storia di una vedova della grandissima Joyce Carol Oates (Bompiani) è un libro interessante, una lunga introspezione fondata sull’analisi del lutto per l’improvvisa morte del marito Ray, tutta incentrata sulla lunga consuetudine (quasi cinquant’anni) di una felice vita coniugale in cui sono stati condivisi affetti, molte passioni, compreso quella per la scrittura, lasciando però intatte alcune zone “private” che la Oates vedova esplora solo ora, almeno in parte. L’elaborazione del lutto viene gestita attraverso il filtro dell’affetto e della cura per la vedova manifestata dagli amici più cari. Interessante l’analisi del cullare l’idea rifugio del suicidio, della ricerca di sollievo attraverso gli psicofarmaci, del rifiuto degli stessi indispensabile per sentirsi di nuovo viva e libera. Un cammino difficile in cui c’è tutto lo straniamento dovuto al fatto di dovere affrontare la vita e se stessi da un punto di vista inedito che costringe la vedova a prendere atto alla fine, che il marito non tornerà. Fa riflettere anche l’analisi del cambio di passo rispetto a gesti consueti, luoghi, abitudini condivise piacevoli che ora risultano insopportabili. Si rompe il cerchio e la ricerca di un nuovo equilibrio è difficile dentro una casa amata e ora temuta allo stesso tempo. Anche gli animali di casa, ben raccontanti, sono visti come i gatti di Ray e per alcuni aspetti diventano bestie temute, di cui la Oates ama forse più il ricordo di ciò che sono stati. C’è poi il tempo sospeso, un limbo, dedicato al lavoro soprattutto condotto in esterni, girovagando per convegni in diverse città. Una distrazione dal lutto che è anche una medicina. Fino all’inizio della rinascita finale, simboleggiata dalla cura del giardino che era del marito e dall’arrivo della primavera. Scritto in prima persona e al presente, è ampiamento rievocativo del rapporto coniugale, come è ovvio. In alcuni punti un po’ ripetitivo e prolisso. Non la solita Oates anzi, una Oates del tutto insolita. È dato ampio spazio alle considerazioni della vedova che parla di sé in corsivo e in terza persona definendosi come “la Vedova” quasi a volere comporre una casistica di alcuni aspetti del lutto. Eccessiva e noiosa la sfilza di mail di amici e conoscenti.

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