tmax600x480_2365429721_JOAN_BAEZ-6-webÈ stato un caso, mi ha invitato un’amica: “Ho due biglietti a disposizione”. “Okkei – ci siamo dette -. Allora si va per forza!”. Però non eravamo troppo convinte di assistere al concerto di Joan Baez, settantaquattro anni, di giovedì scorso a Milano.  A posteriori riconosco che la mia mancanza d’entusiasmo era immotivata. All’inizio ritrovarmi confusa in mezzo a un pubblico composto quasi esclusivamente da pantere grigie (dopo i sessanta) e qualche diversamente green (dopo i cinquanta), mi ha dato un po’ di disagio. La mia età è nella media, ma continuo a sentirmi una ragazza, dentro. Poi, quando è arrivata Joan ed è iniziato il concerto tutti sono tornati giovani all’improvviso, immersi in un tempo diverso e lontano. La voce della Baez, le canzoni che ha proposto, hanno suscitato una struggente nostalgia, ma l’usignolo di Woodstock con la lunga sciarpa rossa ha trasmesso anche molta energia. Il suo impegno a favore dei diritti civili e della pace è confermato nella selezione delle canzoni che spesso ha introdotto in italiano, leggendo da un foglio. “Questa canzone è dedicata alla gente coraggiosa della Val di Susa” ha detto a un certo punto e ha attaccato Joe Hill, il pezzo sull’attivista americano giustiziato cent’anni fa, quello che Baez ha interpretato a Woodstock e che ora è diventato un inno per i No Tav. Tra i brani proposti God is god, C’era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, Farewell, Angelina, It’s all over now, baby blue, Un mondo d’amore e Blowin’ in the wind. Pubblico caldissimo, tifo da stadio.

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