«17243 è il numero segreto che ti permette di fare pipì alla Feltrinelli Red. Non lo sapevo, giuro non lo sapevo che adesso per pisciare devi conoscere il codice segreto riportato sullo scontrino del caffè che hai consumato in fretta prima di andare a pisciare, appunto, che senza caffè non puoi entrare in bagno.» La mia amica, di solito un esempio di calma in qualsiasi situazione, è fuori di sé. «Qui rischi di fartela addosso perché serve la consumazione per poter entrare nei cessi di questa libreria del cavolo! È troppo tempo che mi scappa e non resisto. Aspettami qui.» Chiude la tirata in tono stridulo.  Che sia impazzita? Cosa avrà voluto dire? So solo che ogni volta che capitiamo qui, o in qualsiasi altro ovunque, lei deve fare pipì.
Lei. Io, mai.
Perché?
Se so di dover uscire non bevo. È più pratico, no?
Ecco, sta tornando. Sorride, cammina con grazia dondolando le anche tra i tavolini, ogni tanto inciampa in qualcuno che va controcorrente, tenendo in mano, ben alto, lo scontrino. Tutta gente che deve fare pipì.
«Oh, un bel sistema! C’è una coda di gente che inveisce tenendo le gambe strette.» È  placata, anche svuotata. «Io sono passata davanti a tutti. Avevo lo scontrino. Prendiamo un altro caffè?»
«Voglio sapere. Come si piscia, qui?»
«Adesso ma-gni-fi-ca-men-te! Ricordi lo scorso inverno che dovevi accompagnarmi e restare di guardia perché tutte le serrature dei bagni erano rotte? Ancora non serviva lo scontrino.»
«Certo» rispondo «Ho visto cose che voi umani… Mica tutti avevano a disposizione una dama di compagnia come me. Le porte si aprivano e c’erano uomini e donne con le braghe calate che si sporgevano dalle tazze per riacciuffare il pomolo della porta e richiuderla. Le donne con borsa a manico lungo godevano di un notevole vantaggio. Agganciavano i manici della borsetta al pomolo e tiravano. Insomma, dovevano sporgersi meno.» Ricordo una tipa, aveva una borsa di Hermes cui stava aggrappata come un naufrago del Titanic all’ultima scialuppa. La mia amica non mi ha neanche ascoltato, si è alzata e, sempre con quell’andatura finta innocente, è andata a prendersi un tè.
«Tieni.» Mi allunga un muffin al cioccolato come il biscotto al cane.
«Non riuscirò a mandarlo giù così a secco» protesto, però ne ho già ingoiato metà. Avrebbe potuto portarmi almeno un bicchiere d’acqua.
Lei beve e parla, parla e beve, sempre più nervosa. Mi racconta di sua suocera, un argomento peso. Taccio, la bocca piena di muffin e un velo di stanchezza per il contorno di finti lettori e di finti libri alla moda che arredano la libreria. Oddio, non tutti, ma molti sì.
Lei adesso si lamenta del marito, è proprio nervosa, addirittura concitata. Ha fatto a pezzi il tovagliolo e ora è passata allo scontrino del tè, l’ha piegato e ripiegato fino a ridurlo a una striscia sottilissima. Uno stuzzicadenti di carta. Alla fine lo piega a metà e lo spezza in tre.
Guardo il cellulare: «Per me è ora di andare». Comincio a frugare nella borsa per cercare la tessera del tram.
Alzo gli occhi e lei mi fissa, stralunata. «Che c’hai?» domando.
«Niente. Ho buttato lo scontrino.»
«Non importa, abbiamo già consumato.»
«Sì, ma non ho pisciato e ora con tutto quel tè!»
17243

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