Questa sera chiuderò la stagione delle presentazioni d’inverno de La regola dell’eccesso e di Tessa e basta, le storie che ho pubblicato quest’anno, poi starò rintanata in casa fino a primavera per terminare il libro che sto scrivendo. Chiudo gli occhi un momento e penso a domani. Pregusto il momento in cui mi accomoderò al computer, protetta da un cerchio di penombra, la musica di sottofondo che varia in relazione all’umore del momento e anche al tipo di scena su cui sto lavorando. A metà pomeriggio metterò in scena una tazza di tè nero fumante e qualche biscotto e più tardi, dopo una cena veloce, m’inoltrerò nella notte con i miei personaggi e l’immancabile caffè accompagnato da un paio di quadretti di cioccolato fondente. Quando vado a dormire non ho mai sonno e allora leggo e a ogni pagina mi dico che alla prossima spegnerò la luce e poi rimando, rimando…
Sono stanca.
Voglio essere lasciata in pace.
Concentrata.
Parlo con i personaggi del libro che sto scrivendo, che in qualche caso sono veri, perché quasi sempre scrivo storie che si ispirano alla realtà. Li interrogo dentro la mia testa, discutiamo, qualche volta litighiamo, ma restiamo comunque inseparabili fino alla parola fine, all’ultima pagina.
Ciascuno dei narratori con cui ho lavorato è vissuto dentro di me per tutto il tempo in cui ho scritto la sua storia. Con tutti, chi più chi meno, ho fatto i conti ogni giorno, non sempre è stato facile. Ho rimescolato le carte delle loro vite o almeno di un pezzo di esse. Ho deciso quali tenere e quali scartare.
Sono entrata in storie che si concludono in un cerchio perfetto, esistente compiute, e ho affrontato anche narrazioni in cui i conti non tornano mai, esistenze sfilacciate, destini drammatici in cui la rincorsa al futuro non ha forse neppure un traguardo. Questi sono i libri più difficili da scrivere e anche quelli che amo di più.
È ora d’uscire, c’è nebbia e fa freddo.
Si va lo stesso perché si deve andare.

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