Mi guardo intorno, ora nel bar non ci sono altri clienti. È un’ora morta, le dieci del mattino e sono ancora seduta al tavolino con Laurica.
Siamo in pausa per raccogliere le idee.
Di certo lei si sta domandando se ha fatto bene a dirmi che sua madre, la mia amica Mirella, è diventata una ladra. Me la ricordo ai tempi in cui lavoravo anch’io in redazione. Mirella era sempre la prima ad arrivare, efficiente, precisa, mai stanca. Alle riunioni sapeva quando tacere, poi a volte stupiva tutti tirando fuori un’infilata di idee per nuovi progetti, alcuni validi, altri strampalati, sparati lì quasi con affanno. Era strana, anche allora. Eppure non ci avevo fatto caso. Il ricordo è velato dal pregiudizio per quello che so di lei, ora: ruba.
«Senti Laurica, io non ho capito. Non vi mancano i soldi per la spesa e tu… sei in ordine.» Tossisco, mi confondo. «Intendo dire che non ti manca niente, insomma… hai capito quel che voglio dire.» La scruto. In questa storia c’è qualcosa di sbagliato. Che stronzata tutta la faccenda!
Spio la strada attraverso la vetrina macchiata. Piove e fa freddo e io devo ancora andare in copisteria a ritirare la copia dell’ultimo manoscritto: seicento pagine che avrebbero massacrato la mia stampante, poverina. Invece, ho incontrato questa ragazzina con lo zainone. È carina, ma banale, una come tante. Non avrà mai un fascino speciale.
«Mamma ruba a papà i soldi per la coca e lui è convinto che glieli frego io per gli spinelli. Sai, l’anno scorso l’avevo fatto.» Lo dice tutto d’un fiato, gli occhi grandi, spalancati come quelli di un fumetto. «Allora? Ci prendiamo l’aperitivo?»
Il mio braccio si muove lento, verso l’alto, la mano sventola in una specie di saluto. La cameriera si muove da dietro il banco e mi fissa preoccupata.
Ho appena recuperato nella borsa un sacchetto di carta marrone. Ora ci respiro dentro.
Sono previdente, io. Non esco mai senza avere un sacchetto a portata di mano.
(4 – Continua)

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