Samantha Terrasi autrice romana, ha un curriculum letterario di tutto rispetto con all’attivo pubblicazioni nell’ambito della poesia e della narrativa, in cui ha sperimentato diversi generi. Scrive regolarmente sul suo sito www.samanthaterrasi.it e collabora con diversi blog, inoltre sarà docente per un corso di scrittura creativa presso il Centro Darwin dove lavora, a Ostia.
Hai scritto un romanzo, molti racconti di genere e anche delle raccolte poetiche, tuttavia il tuo campo è la biologia molecolare. Come sei arrivata alla scrittura e in che modo la formazione scientifica influisce sulla tua attività di autrice?
Mia madre mi insegnò a leggere a cinque anni e a sette ero già seduta sulla mia sediolina rossa a leggere Piccole Donne. A otto anni provai a scrivere una storia. L’uomo bianco e l’uomo nero. Ricordo solo l’idea ma di quei fogli ne ho persa traccia. Alle medie e superiori mi sono scontrata con le professoresse di italiano che mi incoraggiavano a non scrivere perché il mio andare spesso fuori tema le disorientava. Dicevano che ero caotica e non portata allo studio. Ho lasciato perdere la scrittura e mi sono dedicata alla lettura. Ho divorato la letteratura dell’800. Ho amato quella russa e bulgara e alla fatidica domanda Quale facoltà sceglierai alla fine del quinto anno del liceo scientifico, ho risposto Lettere classiche. La matematica era così lontana dalla mia esigenza di conoscenza. Ma così non fu. Dovevo scegliere una facoltà scientifica, furono le parole dei miei genitori o mi sarei scontrata con la possibilità di non trovare lavoro. E così armata di duecento lire sono andata davanti alle quattro facoltà scientifiche per eccellenza e ne scelsi due. Ingegneria la esclusi a priori come architettura. Rimase Biologia e geologia di cui non conoscevo nulla. È uscita biologia. Sono stati anni dedicati allo studio, alla matematica, fisica. La scrittura non era più con me. È rimasta sopita, addormentata, in letargo. È esplosa di nuovo a un passo dalla laurea. La pubblicazione della raccolta di poesie Parole nel vento, della Aletti ha decretato il mio ritorno alle parole come espressione di un animo sofferente, foto scansionata 200castigato. La laurea in biologia ha permesso alla scrittura di maturare un percorso lontano dalle parole. Sembra un controsenso lo so. È come guardare la televisione da troppo vicino, non distingui nulla, allontanandoti allora riesci a vedere la figura. L’allontanamento ha messo ordine. Ora mi sento completa. La scrittura è il mio modo di comunicare, di non essere sola e di far appassionare i miei studenti anche se parlo di triangoli e frazioni. La biologia ha dato solo pagine in più all’immensa conoscenza che potevo avere.
Il tuo romanzo, Ti aspetto edito dalla Lupo Editore, racconta la storia di una studentessa di fisica che adegua i suoi sogni alla volontà del padre. C’è tutta la difficoltà di vivere l’amore, gestire i rapporti tra attese, incontri, occasioni perse. Quanto c’è di te in questo libro?
Nina non sa sognare. Michele il coprotagonista invece sa fare solo quello, cavalcare l’onda dei sogni che quando sfuma lo spossa, lo fa tornare nel baratro del caos e dell’incertezza. In questo libro c’è tutta la mia capacità di sognare e di innamorarmi in Michele. Adoro il formicolio allo stomaco quando una storia d’amore comincia. Di Nina ho la caparbietà di realizzare i progetti. Sono testarda e non mollo. Di entrambi i personaggi ho la predisposizione alle attese. Agli equilibri da raggiungere che però non arrivano. Nel libro ho voluto porre l’accento anche sul rapporto genitori-figli. Spesso fragili. È difficile essere genitore ed è difficile essere figlio. Nina e suo padre. Lui la vuole fisico per toglierla dall’amore che lo ha fatto soffrire. Vuole per lei la vita che lui non ha scelto. Quante volte si commette questo errore? Proteggere che coincide con soffocare e non amare.
Chi sono i tuoi allievi ai corsi di scrittura creativa e com’è, in media, la loro scrittura?
I miei allievi… non vedo l’ora di conoscerli perché il corso non è ancora partito. Li immagino vogliosi di imparare, scrivere, farsi leggere. Per ora mi immedesimo con quell’entusiasmo che mi caratterizza quando mi siedo e mi faccio incantare dai consigli, regole, parole dei miei nuovi professori di corso. Sì, perché ora sono corsista anche io. Mai dimenticare di avere l’umiltà di imparare e mettersi in gioco. Il corso che sto seguendo è un corso di scrittura creativa organizzato dalla Rai. Ogni lunedì attraverso Roma fino a Via Teulada. Ritrovarsi con il pass con il logo Rai, fantasticare magari un giorno non troppo lontano di entrare lì e lavorare per qualche testo importante mi fa tremare le gambe ogni volta.
Tu sei una lettrice forte e scrivi molti articoli di critica letteraria. Come scegli le tue letture, soprattutto per quanto riguarda gli esordienti e gli emergenti?
Le mie letture sono scelte in base a una strana corrispondenza con la copertina. Lo dico spesso, l’immagine perché mi colpisca deve bucare. Non mi fermo sul “pregiudizio” che molti riservano su emergenti ed esordienti solo perché sono alla prima pubblicazione. Vado oltre. Voglio scoprire, sperimentare. Sono un biologo d’altronde. Di solito mi lascio trasportare dall’istinto, che in fatto di libri non sbaglia in fatto di uomini un po’ meno, ma è un’altra storia che forse un giorno scriverò.
Cosa pensi dell’affollamento della platea di aspiranti scrittori, inversamente proporzionale al numero dei lettori? Forse oggi si può essere scrittori senza avere l’abitudine alla lettura? E poi qual è la qualità degli scritti?
L’affollamento di aspiranti scrittori è un fenomeno recente o forse un fenomeno in risalto in concomitanza ai numerosi modi oggi di uscire allo scoperto. Non ci si improvvisa scrittori. Questo forse è il punto Uno di qualsiasi manuale di scrittura. La lettura dà l’imprinting, fornisce le fondamenta, è il bagaglio formativo. La scrittura è l’esigenza di narrare. Scrittore senza essere lettore, non so, non mi convince. Il messaggio dello scrittore viene da qualcosa di profondo che una volta smosso segue una tempesta che si infrange sulle coste di una pagina bianca. Si scrive perché dentro c’è del materiale che abbiamo maneggiato, letto. Molti pensano che leggere possa influenzare in maniera negativa lo scrivere. Si è parlato spesso di copiare le idee. Dopo Omero penso che si è scritto e riscritto sempre degli stessi temi ma contestualizzandoli nella propria epoca, ognuno ha aggiunto un messaggio. Quanti hanno parlato di storie d’amore? Innumerevoli. Forse non c’è libro che non parli almeno di una storia d’amore. Ti aspetto rientro nella categoria. È anche la storia d’amore fra Nina e Michele, fra Angela e Michele, fra Audrey e Marco. Il messaggio che voglio lasciare va oltre l’innamoramento, però ed ecco che la lettura dei testi d’amore mi ha aiutato per tirar fuori il mio significato. L’amore come stato che può cambiare una vita. Una corrispondenza intima e profonda.
Dacci qualche anticipazione sul manoscritto a cui di sicuro stai lavorando.
È un romanzo breve. Ho voluto ripercorrere le strade dell’infanzia quando la Sicilia appariva all’alba dal traghetto. Il profumo delle mandorle, i dolci, le nenie delle Zie. Il tombolo. Il titolo è Boe di salvataggio. Mariuzzo e Cettuzza, Sicilia degli anni settanta. L’odissea che fa da sfondo. Il mare che è protagonista e spettatore. Mariuzzo e Cettuzza vivono quegli anni vicini. Non sono Romeo e Giulietta, hanno un modo di amare singolare e unico. Sono l’uno la boa dell’altro. Non affondano stando insieme ma la vita non sarà clemente. La dura realtà di una Sicilia che vede il continente come una minaccia e o una cosa lontana. Le malelingue.
Questo è l’incipit: “Rapiti dalla bellezza del mare, siamo rimasti immobili. Le onde si rincorrevano pigre lasciando di tanto in tanto quei piccoli tesori che solo le acque riescono a custodire. Vengono fuori da quella spuma biancastra, si incagliano da qualche parte e poi, quando l’onda si ritira, brillano come fossero d’oro. Il loro luccichio non è che un attimo, come il volo delle lucciole d’estate, poi ritorna l’onda che tutto sommerge, sposta e nasconde.
Il mare quell’estate ci aveva regalato diverse conchiglie. Le raccoglievo e te le mostravo. Cercavo un significato per ognuna. Le rigiravi tra le mani e poi me le ridavi. Ti piaceva quel mondo di relitti ma non volevi partecipare alle mie scoperte. Dosavi le parole come un ingrediente in una ricetta ancora da elaborare. È stato anche l’anno delle alghe, lunghe filamentose che come capelli si ammassavano sulle rive lasciando quell’odore di putrido. Noi camminavano tra quelle lunghe parrucche facendo attenzione a non muoverle troppo. Se le calpestavi, un nugolo di mosche si alzava furioso, dovevi scacciarle con le mani, nascondere gli occhi. Pigre e lente ritornavano al loro posto lasciando quell’odore di pesce marcio scoperto. Ci venivano i conati ma continuavamo a camminare in mezzo a loro. Ci si abitua anche a questo”.

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