Un passo avanti e due indietro, il processo di avvicinamento tra editori e autori auto-pubblicati sembra procedere al passo del gambero, ma prima o poi dovrà iniziare un dialogo serio. Lo scorso dicembre, in occasione di Più libri più liberi, l’Aie (Associazione Italiana degli Editori) ha presentato una ricerca sul self-publishing (13_Comunicato-Self-Publishing). Si è trattato di un primo passo del mondo dell’editoria per prendere confidenza con la realtà del SelfPub, che la maggior parte degli editori tradizionali, colpevolmente, conosce pochissimo. Tra l’altro, se sia meglio pubblicare con il self publishing o con un editore non è più una scelta evidente, ne sono la riprova il fenomeno degli autori che migrano dall’editoria tradizionale all’auto-pubblicazione e le scelte di alcuni autori che, a fronte di proposte di pubblicazione non soddisfacenti, scelgono comunque di operare in autonomia. Anche certe iniziative del mondo editoriale non aiutano, infatti sembrano costruite apposta per ribadire la superiorità dell’editoria tradizionale. Di recente, Riccardo Cavallero, ex numero uno di Mondadori Libri, ha deciso di fondare una casa editrice: la Società editrice milanese; in una interessante intervista a Il Libraio, Cavallero anticipava il progetto Sem Publishing: “Segnerà il nostro ingresso nel mondo del self-publishing, ma in modo nuovo, perché il ruolo dell’editore deve restare fondamentale. Sul nostro sito faremo un concorso mensile tra gli aspiranti autori. I cinque libri più votati ogni mese dai lettori saranno visionati dai nostri editor, che ogni trenta giorni ne sceglieranno uno. Il libro scelto non sarà automaticamente pubblicato, ma l’autore potrà lavorare al testo con l’aiuto della casa editrice. In questo modo, da settembre, pubblicheremo un libro al mese, in libreria, ma sfruttando il print on demand. I lettori potranno anche prenotare il libro e riceverlo a casa”. Qual è il senso dell’iniziativa? La mia impressione è che si tratti di una concessione calata dall’alto al mondo del SelfPub, infatti, colgo un po’ di supponenza nell’apertura a coloro che scelgono la strada dell’auto-pubblicazione, come se l’editore dicesse: “il self publishing esiste, prendiamo atto, ma siamo noi editori a fare la differenza, comunque. Quegli autori lì al massimo li mettiamo in quarantena, non li pubblichiamo in modo classico, usiamo il print on demand, poi si vedrà”. Insomma, un vero dialogo tra editori e self publisher non è ancora iniziato, tuttavia gli editori sono entrati in una fase di osservazione anche se, per il momento, non prevedono alcuna forma di collaborazione.
Occorre riconoscere che il self publishing è ancora un brodo primordiale alimentato per la maggior parte da testi che dovrebbero restare confinati nel buio di un cassetto. Il problema è dare evidenza alle eccezioni di qualità che rischiano di perdersi nel calderone. Sono nate alcune iniziative che stanno battendo, con fatica, nuove strade a sostegno del SelfPubPro e per poterlo fare chiedono la collaborazione degli autori che si auto-pubblicano.  Ad esempio, SELFPQ16, in collaborazione con Extravergine d’autore e FUIS hanno promosso una ricerca sul Self Publishing un’indagine per conoscere le modalità di utilizzo degli autori italiani delle piattaforme di auto-pubblicazione, le strategie promozionali per pubblicizzare le proprie opere e la frequenza al ricorso di servizi editoriali. Rispondere al questionario prende meno di cinque minuti, lo so perché l’ho fatto, e invito tutti coloro che hanno esperienza di auto-pubblicazione a farlo. Poter analizzare meglio il fenomeno SelfPub è importante per interpretare e, quando possibile, indirizzare e sostenere lo sviluppo di ciò che è ancora in divenire. Sono convinta che nel futuro dell’editoria ci sia spazio per tutti però le parti in causa si devono confrontare per crescere insieme, non restare su posizioni contrapposte. Occorre un processo radicale di rinnovamento da parte degli editori e di miglioramento nel selfpub che ha bisogno di filtri in grado di operare una selezione efficace. Da ambo le parti, i
pregiudizi sono duri a morire e la voglia di capire ed esplorare è di pochissimi, ma il futuro è molto vicino.

 Immagine dal web.

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