Qualche settimana fa ho scritto un post sulle dipendenze prendendo spunto dalla visione di un servizio dedicato ai “Babyricchi”, i ragazzini che si fanno impunemente di coca perfino all’interno delle aule scolastiche, ormai luoghi tutt’altro che protetti. Ho sviluppato un particolare interesse per il mondo delle dipendenze nel periodo in cui ho scritto La regola dell’eccesso, un’autobiografia romanzata relativa a un’esperienza che mi ha portato a confrontarmi con questi temi senza alcun pregiudizio. Oggi le dipendenze da sostanze, dal gioco, da Internet, eccetera, sono sempre più diffuse, in alcuni casi accettate quasi con indifferenza e per tale motivo se ne parla sempre meno, tuttavia alcuni fatti recenti, il più eclante il suicidio dell’adolescente di Lavagna, hanno riportato alla ribalta il problema di consumo di sostante tra i giovanissimi. Sulla tragedia ligure è stato detto tutto, anzi troppo (vi segnalo un articolo di Nicolò Carradori su Vice che ho trovato interessante); aggiungere parole non servirebbe a niente. Quello che mi interessa è capire quali percorsi sono stati individuati per la prevenzione all’uso di sostanze. Nel post che ho citato all’inizio, avevo scritto dell’esempio islandese, basato sul metodo ESPAD adottato in quel Paese; il metodo ha basi scientifiche e ha avuto ottimi risultati tanto che oggi l’Islanda appartiene al gruppo dei Paesi in cui l’uso di sostanze è poco comune. Ma non è stato sempre così: vent’anni fa i ragazzi islandesi erano in vetta alle classifiche europee per consumo di alcol e droghe.
Il modello islandese vive all’interno nel progetto Youth in Europe, lo spiega bene Lucia Lorenzini in un articolo su StartupItalia!, e prevede la partecipazione dei giovani in Europa a livello comunale, piuttosto che sotto la guida dei governi nazionali. La formula sembrava non riproducibile per l’Italia, invece è stata adottato per la prima volta nel 2015 a Santa Severina un piccolo borgo di 2000 persone in provincia di Crotone, per ora l’unico comune italiano ad avere aderito all’iniziativa. Da notare che tra le altre città che hanno sposato Youth in Europe ci sono, ad esempio, Istanbul che ha 14 milioni di abitanti, il comune di Tarragona in Spagna, che ha quasi 150 mila abitanti. Dunque non conta la dimensione della città, il progetto è applicabile ovunque, perché viene gestito all’interno delle singole scuole ed è basato su un metodo strutturato in maniera sostenibile. Perché questa notizia non è sulle prime pagine dei giornali? Quanti sono i comuni italiani che si stanno attivando per valutare il progetto? Quali sono i motivi per cui nessuno sembra conoscerlo? Chi ne sta parlando? C’è bisogno di risposte certe.
Immagine dal web.