In questi giorni il Corriere.it ha pubblicato più di un articolo che parla di editing e del ruolo degli editor, a partire da quello dedicato a Ginevra Bompiani: Oggi i libri muoiono di editing. L’intervista di Roberta Scorranese in cui l’intervistata ripercorre la sua vita, il suo lavoro e gli incontri favolosi che ha avuto il privilegio e la fortuna di fare. Tra l’altro dice: “… Oggi per moltissimi autori la scrittura è solo un aspetto della vita. Vedo meno consistenza e tanto, troppo editing. La sensazione è che si scrivano libri nella convinzione che, tanto, poi, ci pensa l’editor a metterli a posto”.

A stretto giro è uscito un secondo articolo, sempre su Corriere.it, a firma di Ida Bozzi: Il dilemma degli editor: «Troppo mitizzati». «No, essenziali» in cui alcuni scrittori, che in qualche caso assolvono anche il ruolo di editor, commentano l’assunto di Ginevra Bompiani.
Carlo Carabba conferma che “c’è una iperfiducia nei confronti dell’editing. La figura dell’editor è stata mitizzata. Invece è un lavoro maieutico, non normativo né che può sovrascrivere l’opera dello scrittore”. Nicola La Gioia dice: “non ho mai conosciuto uno scrittore valente, in Italia, che si sia fatto dettare qualcosa dall’editor” mentre Ferruccio Parazzoli in un certo modo sostiene il contrario: “… ci sono molti libri che sicuramente sono stati costruiti in base all’editing, messi insieme, riscritti”.
Federica Manzon mette a fuoco una nuova visione del lavoro dell’editor: «Negli ultimi dieci anni circa è venuta alla luce nei media la figura dell’editor, una volta non così esposta. Ciò ha portato all’idea che sia una figura decisiva, non perché tira fuori il meglio da ciò che c’è già, ma perché interviene nel testo. Infine Ilaria Tuti, pone l’accento sui “tanti libri anche diversi, ma con una scrittura identica […] Stiamo perdendo la ricchezza dell’italiano”.

Hanno tutti una parte di ragione. Le loro riflessioni mettono al centro la figura dello scrittore inteso in modo classico: colui che, disponendo delle competenze e del talento necessari, lavora in solitaria alla sua opera.

Oggi però ambiscono definirsi autori anche persone che con il mestiere di scrivere hanno poco o nulla a che fare, uomini e donne che non leggono, o leggono molto poco, o leggono solo libri “leggeri”, o peggio, in qualche caso estremo, solo i titoli dei post in rete. Il panorama è variegato tanto quanto i livelli di competenza degli aspiranti scrittori, o scriventi, o hobbisti della penna, come mi piace definire quelli senza arte né parte che si lanciano nell’avventura di scrivere un libro. Alcuni, una esigua minoranza, frequentando una buona scuola di scrittura, potrebbero ottenere risultati dignitosi, o anche interessanti, e vanno incoraggiati; gli altri farebbero meglio a lasciar perdere la scrittura, un’attività per cui non hanno alcuna propensione. Del resto ciò che conta è il nome sulla copertina di un libro.

I nuovi letterati, indipendentemente dal loro livello di competenza, spesso hanno un tratto in comune di cui ho già detto: leggono poco. Non importa i motivi per cui non leggono, ciò limita, o esclude, la loro possibilità di scrivere e tuttavia si ostinano nell’aprire un file di word che intestano con il titolo del loro romanzo, magari dimenticando di indicare il nome dell’autore, il loro, un lapsus che dice molto. Costoro spesso non conoscono la funzione dell’editor e del resto, tra “quelli che sanno” cosa sia l’editing, i più ritengono di poterne fare a meno.

La maggior parte di coloro che appartengono, o ambiscono appartenere, alla categoria dei nuovi autori sfoggia una scrittura cui non basta l’intervento dell’editor; infatti per produrre un testo degno di essere letto devono fare ricorso alla modalità di scrittura condivisa con uno scrittore professionista, un ghost writer.

Tra gli addetti ai lavori dei salotti buoni c’è una sorta di reticenza a parlare del lavoro degli scrittori che talvolta assumono le vesti di fantasma, salvo poi cercare di emularne l’attività, sia pure adottando tutte le precauzioni del caso per non farlo sapere. Oppure salvo fare ricorso ai servigi di un fantasma di fiducia per un qualsiasi motivo, magari perché si è in ritardo con le consegne.

Così come ci sono tanti modi di fare l’editor, ci sono altrettanti modi di assolvere la funzione di ghost writer, assai complessa. Ultimamente se ne parla un po’, quasi sempre a sproposito, generalizzando su una categoria molto variegata per la tipologia e la qualità delle attività che può svolgere, ma questo è un altro aspetto della questione.

Qui mi interessa tenere il punto sulla questione della scrittura condivisa di cui avevo già scritto in un post, “Lo scrittore vive o è un esemplare in estinzione?”, esattamente due anni fa.

Tra l’altro dicevo: “Il linguaggio sta evolvendo e forse, in un futuro non lontanissimo, un libro che racconti una storia sarà altra cosa da ciò che è oggi. Tuttavia, resta il fatto che alcuni aspiranti autori sono “sguarniti dal punto di vista di lingua e stile” perché non si sono formati per esercitare il mestiere dello scrittore, hanno saltato il passaggio dell’acquisizione delle competenze di base. Molto di ciò che viene fatto oggi si fonda sull’improvvisazione, e non solo nell’ambito letterario, e non ha nulla a che vedere con la sperimentazione di qualcosa di nuovo. Se gli aspiranti autori non si impegneranno per imparare il mestiere, resteranno per sempre hobbisti della penna e scrittori a metà. Per portare a termine un’opera non potranno prescindere dalla collaborazione con un editor, e questa deve essere una regola che vale per tutti, ma dovranno accertarsi che sia molto competente e bravo; talvolta dovranno ricorrere a un ghost writer, e anche costui dovrà essere molto competente a bravo, perché ormai queste due figure professionali saranno indispensabili a chi abbia l’ambizione di scrivere per arrivare a produrre un libro. Infatti, proprio il “ribasso” delle competenze autoriali esige un accompagnamento alla produzione letteraria che, a seconda dei casi, può arrivare a smarginare dall’editing alla riscrittura, alla scrittura.

Se l’aspirante autore è colui che “ha l’idea” di una storia, ma è consapevole di possedere solo in parte o non possedere per niente gli strumenti per poterla sviluppare e comunicare al suo pubblico, uno dei percorsi possibili per il futuro sarà la scrittura condivisa, come regola, tra l’autore che diventa tale grazie all’editor, e se serve, anche grazie al ghost writer. Del resto il mio metodo di lavoro, lo stesso che molto in sintesi vale per il ghostwriting, è già questo da tempo: un narratore mi racconta la sua storia, io la scrivo trasformandola in un romanzo e poi mi confronto con l’editor”.

Le professioni della scrittura sono in evoluzione: uno scrittore professionista può disporre delle speciali competenze per scrivere in qualità di ghost writer e per lavorare come editor e può declinare il suo contributo in modo molto differenziato. I possibili livelli di intervento sono un altro tema che sarebbe interessante approfondire.

Per il modo in cui interpreto la mia professione di scrittore delle storie di altri, la storia scritta nel libro, con a base il racconto orale di un narratore, è una versione unica e originale di una nuova verità filtrata ed elaborata sulla base del materiale di narrazione cui lo scrittore ha accesso. Questa storia appartiene allo scrittore perché sua è la scrittura.

Lo scrittore professionista deve valutare con accortezza con quali autori (narratori) collaborare. All’autore io chiedo una storia, un’idea, un carattere e che si affidi e si confronti con me. In questa modalità di scrittura condivisa per gli hobbisti della penna e delle storie campate in aria, non c’è comunque spazio.

 

“Un tempo i libri venivano scritti
da uomini di lettere e letti dal pubblico.
Oggigiorno i libri sono scritti
dal pubblico e letti da nessuno”.
(Oscar Wilde)

Immagine dal web: Woman reading di Fernando Botero

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