Ci sono persone che, a un certo punto della vita, avvertono l’esigenza di scrivere la propria storia. Alcuni iniziano a farlo in età relativamente giovane, altri più avanti. Qualcuno può attingere alle cronache conservate in polverosi quaderni, dimenticati nel fondo buio di un cassetto, i famosi diari; altri devono scavare dentro di sé per riportare alla luce ricordi “dimenticati”, o frammenti di storie che immaginavano perduti per sempre.

Come nasce la necessità di scrivere di sé?

Provo a dare alcune delle motivazioni che spesso muovono le persone che incontro e che dichiarano di volersi cimentare nella scrittura di sé. Costoro dicono di voler scrivere per tentare di soddisfare un intimo desiderio di fare ordine, di arrivare a un bilancio che dia senso alla loro esistenza, per chiarire quale sia la loro identità, e poi da qui ripartire guardando al futuro con più consapevolezza. Al centro di tutto c’è la volontà di cercare la strada per essere sé stessi e fissare l’impronta, il segno di ciò che si è stati.

Questa è la premessa, il desiderio. Il riuscire a cogliere l’obiettivo non è cosa scontata: richiede coraggio, capacità di introspezione, onestà… e altro ancora. Ricordare ci porta a liberare le emozioni; se nel farlo non si rispettano determinati criteri, lo scrivere di ricordi particolarmente coinvolgenti e/o traumatici risulterà stressante. Infatti, non sempre scrivere fa bene.

Chi voglia scrivere di sé e per sé in forma privata, affinché il risultato del suo lavoro resti noto solo a lui, o magari a pochi altri parenti e amici, dovrà possedere la “capacità di scrivere” in modo semplice, accurato e comprensibile. È un dato necessario, per niente scontato.

Fino un paio di anni fa, Clara Pepe, psicoterapeuta, e io abbiamo tenuto un laboratorio,  RicordoeScrivoLab, che metteva in campo il punto di vista della terapeuta e quello della scrittrice con l’obiettivo di offrire ai partecipanti gli elementi di base per “scrivere di sé” attraverso un percorso autobiografico consapevole e preciso, attingendo alle “cose della memoria” e perfezionando la capacità di scrittura, le due chiavi indispensabili per comprendere il filo della storia e i significati profondi che si celano all’interno di essa. Le esperienze acquisite dagli incontri con gli aspiranti scrittori di sé sono state molto arricchenti. Spesso Clara e io ci ripetiamo che sarebbe bello trovare il tempo per organizzare nuove sessioni. Chissà, magari il 2020 sarà l’anno buono.

A proposito del nostro Laboratorio, voglio ricordare un principio importante che passavamo ai partecipanti e di cui dovrebbe tenere conto chiunque abbia in animo di procedere con un progetto autobiografico, di qualsiasi tipo lo immagini: la scrittura e la psicoterapia non possono coincidere e in nessun caso sono assimilabili. La scrittura autobiografica di per sé non è una cura, anche se può portare dei benefici. Non dobbiamo pretendere dalla scrittura ciò che essa non può dare, anzi dobbiamo vigilare per evitare, scrivendo, di isolarci all’interno di una deriva narcisistica che ci induca a sentirci onnipotenti. Infatti, la scrittura non stempera i conflitti, al contrario li esalta, e quando contribuisce a rafforzare certi nostri falsi convincimenti, corriamo il rischio che i sintomi del nostro disagio si consolidino.

La scrittura può mettere in moto un processo virtuoso, ma se il conflitto interiore che viviamo è molto forte, quindi difficile da sciogliere, senza un aiuto competente potremmo arrivare a compiacercene invece di elaborarlo. Questo è un pericolo da non sottovalutare.

Le persone che prendono carta e penna, o aprono un file dedicato in cui riversano i loro ricordi per scrivere da sé, in modo più o meno consapevole ricorrono alla scrittura come fosse una medicina, un supporto utile per superare il lutto o, se preferite, per affrontare il difficile rispecchiamento che, prima o poi, tutti dobbiamo sostenere quando d’improvviso ci vediamo per quel che siamo, lacerati dai nostri limiti, scorticati dai nostri difetti, spezzati dai nostri errori e sanguinanti per ciò che, di conseguenza per mano nostra, abbiamo perso.

In questi casi, forse, ricordare e scrivere è uno tra i possibili strumenti di cura cui fare ricorso.

L’argomento meriterebbe un approfondimento e una discussione da allargare ad altre competenze, ma il mio obiettivo qui è circoscritto al tema della scrittura, infatti tengo a chiarire che scrivere di sé nella modalità di cui ho detto sopra è un atto privato, qualcosa in cui ci si regola da soli, nella propria intimità, con l’obiettivo, e l’auspicio, di riuscire magari a sciogliere i grumi irrisolti nella propria coscienza. Il punto d’arrivo è una scrittura in grado di procurare benessere, un modo per “ritrovarsi dopo essersi persi”. Per poter cogliere il bersaglio in modo efficace occorre disporre di una serie di strumenti, tra questi le basi minime di una scrittura che sia accurata al punto da risultare comprensibile.

In questi casi il mio eventuale supporto è proprio sulla scrittura, sul come utilizzare la scrittura, sulla tecnica di base dello scrivere, sull’esatta scelta e sull’uso delle parole atte a descrivere ciò che vogliamo dire e non altro perché, anche se l’obiettivo non è quello di realizzare un’opera letteraria da pubblicare, comunque la scrittura non ammette improvvisazione ed è sbagliato credere che, poiché ciascuno di noi usa le parole per comunicare, sappia usarle in modo corretto sulla pagina bianca.

“Meglio scrivere per se stessi e non aver pubblico,
che scrivere per il pubblico e non aver se stessi”.
(Cyril Connolly)

Chi sono coloro che desiderano chiudere le proprie memorie in un romanzo autobiografico, invece che limitarsi a scrivere da sé i propri ricordi? Lo spiego qui.

Immagine dal web: dipinto di Vilhelm Hammershøi (1864-1916)

Per più info naviga il sito. Se vai di fretta comincia da qui:

E tu come la racconti la tua vita?

Scrivere per mestiere, con passione

I ricordi sono appesi a un filo

Scrivere un libro in due: io, ghostwriter, ascolto al tua voce

 

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