Di recente Il Post ha pubblicato un articolo il cui titolo, “Non importa chi sei, ma come ti racconti”, ha subito attirato il mio interesse (lo potete leggere qui), infatti il mio lavoro di scrittrice e ghost writer spesso impegnata nella scrittura di storie autobiografiche mi concede di confrontarmi continuamente sui diversi modi di raccontare di sé che di volta in volta adottano i miei narratori (i “narratori” sono le persone che mi raccontano oralmente la loro storia). Queste persone mi forniscono il materiale di base per la costruzione di un romanzo ispirato alla verità della loro vita, almeno quella che per ciascuno di loro è la migliore delle verità possibili.

Scrivere un libro a quattro mani, secondo le mie particolari modalità, all’interno di una collaborazione tra il narratore che racconta e lo scrittore che ricostruisce la storia scrivendola in forma romanzata, è un processo complesso ed esige particolari competenze e cautele. Di come avviene lo scambio di informazioni con il narratore e di come elaboro l’architettura del libro ho scritto spesso; se vi interessa saperne di più non avete che da spulciare tra i post del mio sito, www.iltuoghostwriter.it, magari cominciando da qui, qui e qui, ma c’è molto altro.

Ora i temi affrontati nell’articolo de Il Post di cui ho detto sopra mi stimolano a condividere e confrontare i diversi approcci al raccontare di cui ho fatto esperienza con i tanti, tanti narratori che ho incontrato nel mio cammino.

Non sono mai incappata in due narratori che avessero caratteristiche comuni nel modo di raccontarsi, forse perché siamo tutti diversi e soprattutto perché scelgo con grande attenzione sia la storia che sarà lo spunto per la scrittura del libro, sia la persona che la dovrà rievocare. Ciascun narratore racconta il proprio vissuto secondo una personale interpretazione, e questo è ovvio; c’è chi me la offre spontaneamente, nulla tacendo e, anzi, avendo cura di rimuovere la polvere in fondo ai cassetti dei ricordi e di dare aria agli scheletri nell’armadio. Altri faticano, soprattutto nel corso delle prime conversazioni; controllano l’uso delle parole, sono avari di confidenze, dicono, ma solo in parte, restando attaccati a un unico e spesso usurato punto di vista, come la patella allo scoglio. In mezzo, tra questi due estremi, esiste una varietà infinita di sfumature rispetto a come una persona si lascia andare a raccontare di sé.

In questo oceano io mi adatto e sguazzo a stile libero, dorso, delfino, o anche a rana. E imparo mentre mi impegno e mi appassiono alle vite degli altri. Poi scrivo. Del resto il tuffarmi nelle storie di un altro per poi scriverne è il mio lavoro.

Incontro persone che mi raccontano il libro privato che da tempo hanno iniziato a scrivere tra la testa e il cuore, ripassando frasi, paragrafi e capitoli più e più volte tra sé e sé, in silenzio, salendo in ascensore con la borsa della spesa, o dal barbiere, o magari nelle ore in cui hanno partecipato, annoiati, all’ennesimo convegno sulle muffe. La storia così come l’hanno in mente dà loro un senso di identità ben definito, li rassicura. Un giorno iniziano a raccontarla a me. Io li ascolto, imparo a conoscerli, registro, metto in fila i fatti, incastro emozioni e reazioni, valuto il contesto. Scopro una storia completamente diversa da quella che mi hanno narrato, eppure è proprio la loro, quella storia lì. E la scrivo.

Senza nessuna pretesa di entrare in un campo diverso dal mio, e del resto non ne avrei le competenze, in tanti anni di lavoro, dopo avere scritto molti romanzi basati su storie vere, ho verificato come  il compimento di un progetto autobiografico porti in qualche caso il narratore a rafforzare la definizione del posto che ha nel mondo, dei propri confini; ancor più ho avuto la conferma di come l’idea di consegnare la propria storia a uno scrittore affinchè la filtri, ne decide contenuti e struttura per arrivare a realizzare un romanzo autobiografico, possa avere delle conseguenze talvolta inaspettate.

Ogni volta che scrivo un libro ispirato al racconto di vita di una persona che mi trasmette i suoi ricordi, accadono molte cose e molto diverse tra loro, a volte i cambiamenti sono eclatanti, altre volte sottili, ma sempre c’è una trasformazione, un aggiornamento che passa attraverso un nuovo modo di guardare a se stessi, più accurato e attento, e a ciò che si è attraversato.

Non a caso ho usato il termine aggiornamento, infatti il processo di realizzazione di un libro comporta sia per il narratore sia per lo scrittore, un percorso di revisione e di incremento di conoscenze e competenze in rapporto a nuove esperienze e scoperte (del ricordare, narrare, ascoltare, scrivere).

Scrivere un libro, rivivere la propria storia, affidarla allo scrittore che la raccoglie senza giudizio né pregiudizio, in alcuni casi può indurre il narratore a rielaborare ciò che ha vissuto in una chiave diversa. Quella nel libro, seppure romanzata, è la sua storia, i fatti sono di chi racconta.

Allo stesso modo la storia scritta nel libro con a base il racconto del narratore, è una versione unica e originale di una nuova verità filtrata ed elaborata sulla base del materiale di narrazione cui chi scrive ha avuto accesso. Questa storia appartiene allo scrittore perché sua è la scrittura.

Il segreto profondo delle vite che si intrecciano sia fuori e dentro la narrazione sia nel libro, resta inviolato mentre ciascuna delle due versioni, quella del narratore e quella dello scrittore, è comunque veritiera.

 

Share: