Le note della Toccata e fuga in Re minore di Bach riempiono lo spazio. Oltre la porta chiusa, il confine della stanza in cui lavoro, c’è un corridoio, altre porte, altre stanze, l’ingresso, il pianerottolo, l’ascensore che non uso da settimane, l’infilata dei gradini che conducono all’atrio dove c’è la vetrata, l’ultimo elemento di separazione con il giardino. Il fuori.

Percorro gli spazi senza uscire. Mi sposto qui e da un’altra parte nello stesso momento.

Sono davanti alla bocca del forno crematorio e guardo scorrere le bare su un nastro trasportatore. Riesco a vedere attraverso il legno e mi pare normale. Cerco qualcuno, una donna. So che c’è, ma non la trovo.

Non ancora.

Lei è anziana, piccolina, consumata da troppa vita. Indossa un tailleur nero, sotto la giacca chiusa dai bottoni gioiello ha una camicia di seta bianca, un velo nero le copre i capelli candidi. Non assomiglia in alcun modo a ciò che è stata, a come la ricordo. Tra le mani stringe la foto del figlio morto tanti anni fa.

Le bare scorrono, tutte uguali. La bocca di fuoco si apre e si chiude, la vampa di calore prosciuga quel po’ di vita che c’è qui intorno. Dove?

Mi accorgo di essere sola. Dell’anziana donnina che cerco non c’è ancora traccia.

Aspetto, aspetto…
Mi spiace, non ho con me neppure un fiore.

Sprofondo nel silenzio.
Mi sveglio nel mio letto.

A fior di labbra mormoro una parola, Ciao! Ancora non riesco a dirle Addio!

 

Image by S. Hermann & F. Richter from Pixabay

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