Aumenta il volume delle polemiche sull’utilizzo dello schwa, il simbolo “ǝ” che nell’alfabeto fonetico internazionale designa la vocale centrale media, ora usata da coloro che hanno deciso di adottare un linguaggio più inclusivo: per esempio, invece di scrivere “tutti”, al maschile universale, o sovraesteso, si opta per “tuttə”, usando lo schwa per avere una desinenza neutra (ne avevo già parlato qui).

Mi piace osservare i cambiamenti della lingua, sono un segno di vitalità, tuttavia il polverone sollevato intorno all’impiego dello schwa è diventato eccessivo. Chi vuole spingerne l’utilizzo lo faccia, sperimenti sapendo che penalizza una larga, e dico larga, ampia, cospicua, parte della popolazione che si confonderà nella lettura perché ha problemi di vista, perché è dislessica, perché è ignorante e non conosce il significato del segno. Ci sarà chi scambierà la “ǝ” per un refuso, almeno potrebbero farlo quelli che conoscono il significato del termine refuso. Per non dire della pronuncia che è a dir poco problematica.

Procediamo per gradi. Con il passare del tempo forse introietteremo lo schwa, ci arriveremo, ma non illudiamoci che l’inclusività cui tende il suo utilizzo venga mai raggiunta; dato per scontato che le diversità di genere sono non-diversità, ci sarà sempre qualche diversamente differente contro cui un altro punterà il dito e, ma questo è solo il mio parere, avremo chissà quante opere di narrativa scritte nel periodo di transizione verso lo schwa che tanti, che pure non hanno impedimenti, eviteranno di leggere per antipatia verso una grafica che potrebbe apparire respingente, perfino sciatta. E qui non c’entra un fico secco l’apertura all’inclusione di la qualunque.  Credo che lo sforzo per superare le differenze, e in generale qualsiasi tipo di barriera, debba passere sempre attraverso la scelta del linguaggio che usiamo, ma senza forzature eccessive, evitando il ricorso a ogni possibile censura.

Magari, se avrà fortuna e chissà quando, lo schwa potrebbe entrare nell’uso comune a tal punto che non avremo più consapevolezza della sua funzione vocata all’inclusività; se le persone non avranno imparato a rispettare e accettare qualsiasi tipo di diversità, non sarà cambiato niente. Non è da qui che passa una vera trasformazione del nostro modo di pensare, la storia insegna.

Non sono una linguista, ma leggo e scrivo per passione e per lavoro. Non mi interessa rendere il mio linguaggio “più inclusivo” grazie allo schwa, non mi serve; per me quel che conta è accettare e accogliere l’altro, chiunque sia. Insomma, lo schwa non va sparsa come il prezzemolo, almeno per ora; se è opportuno interrogarsi sul come e il dove impiegarla, e anche meglio soffermarsi sulla scelta delle parole con cui esprimiamo ciò che ci sta a cuore perché è da lì che passa l’affermazione del riconoscimento di un diritto reale. Il dibattito sullo schwa spinto dal solito teatrino non serve la causa dell’inclusione, al momento mi sembra più folcloristico che utile. Come accade spesso da noi, la ricerca della soluzione di una questione importante, anzi vitale, si scontorna in una nuvola di fumo.

Immagine di apertura da da Pixabay

Altre info:
https://www.treccani.it/enciclopedia/sceva_(Enciclopedia-dell%27Italiano)/
https://www.ted.com/talks/vera_gheno_brevissima_storia_dello_schwa

 

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