Ossignore, che fatica svoltare questo settembre! È il mese che per me, e per molti, rappresenta il vero giro di boa dell’anno, il fotogramma d’avvio di nuovi progetti finora rimandati in attesa del tempo giusto per partire. È settembre, sì!
Le idee e i nuovi piani sono stati messi a punto insieme a diversi propositi conditi da qualche cambio di passo e d’abitudini che non guasta mai, eppure quest’anno è diverso. Scarseggiano la carica d’energia, la spinta a mettersi in gioco in un nuovo azzardo, grande o piccolo che sia. Mancano lo sprint, la voglia di fare, forse anche le forze. È un sentire di cui mi hanno dato testimonianza in diversi e non faccio riferimento unicamente ai pessimisti per natura, quelli che sanno solo guardare indietro e hanno perso pure la speranza. Me lo conferma anche Fabrizio, un amico che sta vivendo un momento magico e invece di goderselo come dovrebbe, si lamenta: “Stento a carburare. Sono felice, ma procedo lentamente, faccio la ruota in pubblico eppure non riesco a concentrarmi come dovrei per godere della mia fortuna”.  Capirai che razza di problema! Gli confesso che un po’ lo invidio per il suo inatteso successo e lui sa che sono sincera.  Eppure…
“Lo so che non dovrei lamentarmi” continua. “Però… ti faccio un esempio: io e te siamo qui a parlare di niente. Perdiamo tempo, o prendiamo tempo, comunque sia tiriamo in lungo senza un vero motivo. Ci esauriamo in un’apatia insolita.» Mamma mia, quanto è pesante, Fabrizio! Accidenti a me che ho scelto di passare per via Marghera; se avessi continuato per una fermata in più sulla Metro, non l’avrei incontrato.
“Mi sento come se fossi sprofondato in una foschia che non si dissolve.” Starà parafrasando un pezzo del suo libro? Tanto non lo avrei letto comunque. Mi fermo davanti a una vetrina di intimo mentre lui prosegue imperterrito guardandosi le scarpe. “In una parola, siamo imbozzolati in uno stato di negatività che è una delle conseguenze dei guasti di un mondo che comunque osserviamo da un punto di vista privilegiato: siamo qui dove i vaccini sono a portata di mano, la politica esprime il peggio, ma non abbiamo i talebani in casa, le stagioni non sono più quelle di una volta, ma non viviamo nel deserto. Perché mi sento così?” Non gli rispondo.
Adesso siamo sull’uscio di una gelateria: “Ti va un cono?” Lui nicchia, lo devo convincere per provare pistacchio e caffè. Che fatica! Vorrei tanto mandarlo a quel paese. Mi pare incredibile d’essere costretta a sopportare la malinconia di un amico baciato dalla fortuna, e di questi tempi, per giunta!
È vero che al Covid dobbiamo sommare una serie di disastri inenarrabili, d’origine naturale, politica, sociale, molti dei quali destinati a non trovare una soluzione nel breve termine, tuttavia noi abbiamo la fortuna di non essere sul fronte di un terremoto, di una guerra, non siamo costretti a fuggire dal nostro Paese, dobbiamo solo fare i conti con guai ordinari e con i tanti Fabrizio contro cui andiamo a sbattere, nostro malgrado. Lui mi guarda e sospira con l’espressione stropicciata del sofferente di professione; pensa di avere il diritto di “stare male”. Anche fosse vero, non mi interessa scoprirlo.
“Il gelato lo offri tu?” Ammicco in direzione della cassa e lancio un Ciao contro la sua faccia stupefatta.
Sono di nuovo sul marciapiede bollente, sono sola. Che meraviglia questo settembre che ha ancora il sapore dell’estate, nonostante tutto!

 

Foto di Seksak Kerdkanno da Pixabay

 

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Non depressi, ma privi di gioia.

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