In questi giorni Raffaele La Capria compie novantanove anni ed ecco che mi rendo conto di avere nella torre dei libri ancora da leggere Ferito a morte, il romanzo che gli è valso il premio Strega nel 1961, uno dei testi fondamentali del ‘900. Scritto negli anni ’60, racconta l’Italia della buona borghesia napoletana del decennio precedente e descrive la sensazione del vivere in un’epoca che produce grandi aspettative che in seguito si riveleranno spesso occasioni mancate sia per Massimo De Luca, il protagonista, sia per gli amici intorno a lui. La narrazione si dipana dunque in un tempo che nulla a che vedere con il nostro, eppure per ciò che intuisco dalla lettura delle prime pagine, in qualche modo, gli è attinente.

La storia è ambientata per tre quarti in una mattinata napoletana, la vigilia della partenza di Massimo per Roma; in un intreccio di conversazioni tra amici, attraverso flussi di coscienza, flash e ricordi, tornano a galla gli undici anni precedenti. Il racconta prosegue con il ritorno del protagonista nel 1960, quando constaterà che nulla è andato per il verso voluto e scoprirà che anche la vita degli amici che aveva lasciato anni prima non ha soddisfatto le loro aspettative. Al centro di tutto c’è l’insoddisfazione e la comprensione dei limiti che lo sviluppo del Paese, così come l’avevano immaginato, già conteneva.

L’incipit di Ferito a morte è folgorante: poche righe che raccontano una storia in cui ancora oggi ciascuno di noi può riconoscersi. Un tuffo nelle nostre offuscate coscienze.

La spigola, quell’ombra grigia profilata nell’azzurro, avanza verso di lui e pare immobile, sospesa, come una fortezza volante quando la vedevi arrivare ancora silenziosa nel cerchio tranquillo del mattino. L’occhio fisso, di celluloide, il rilievo delle squame, la testa corrucciata di una maschera cinese – è vicina, vicinissima, a tiro. La Grande Occasione. L’aletta dell’arpione fa da mirino sulla linea smagliante del fucile, lo sguardo segue un punto tra le branchie e le pinne dorsali. Sta per tirare – sarà più di dieci chili, attento, non si può sbagliare! – e la Cosa Temuta si ripete: una pigrizia maledetta che costringe il corpo a disobbedire, la vita che nel momento decisivo ti abbandona. Luccica lì, sul fondo di sabbia, la freccia inutile. La spigola passa lenta, come se lui non ci fosse, quasi potrebbe toccarla, e scompare in una zona d’ombra, nel buio degli scogli. Adesso sta inseguendo la Grande Occasione Mancata. Per lunghi oscuri corridoi sottomarini, ombre come alghe viola, e gelo in tutto il corpo. Man mano che si abitua a quel morto chiarore distingue le poltrone del salotto, il lungo tavolo di legno scuro, il paralume verde, il divano, la macchia di caffè sul cuscino giallo. La spigola dev’essere scomparsa in qualche angolo buio, dietro quel cassettone o nella stanza di là, sotto il letto dove lui ora sta dormendo. Ma non importa più, ormai ci siamo, eccola La Scena. Si ripresenta sempre identica: lo sguardo di Carla che splende come un mattino tutto luce in fondo al mare, e lei così vicina – anche il battito del cuore! – vicina, con l’occhio marino aspettando. E poi offesa? stupita? incredula? prontamente disinvolta comunque, eccola di nuovo seduta sul letto pettinandosi, per sempre lontanissima, che tenta di superare l’imbarazzo. Lui la guarda mentre lei si pettina i capelli raccolti sulla nuca, bionda coda di cavallo oscillante – luminosi come sulla spiaggia nella notte di Capodanno! – lui senza vita e un sorriso umiliato che copre il desiderio di morire. E i ragazzi, t’immagini le facce? le risate? le chiacchiere, se sapessero. Lui, solo, con la Grande Occasione Mancata, e tutti i loro occhi aperti sulla Scena”.

Perché scrivo di un libro che ho appena iniziato a leggere? Perché non aspettare di averlo consumato e, dopo averne sedimentato il contenuto, allora sì, dirne qualcosa? Perché questo è il momento in cui mi accingo a leggere un romanzo che sento, so, lascerà il segno e inizio così la mia relazione con questo libro. Ho la sensazione che la sua lettura possa mitigare un solco profondo che sta al centro della mia strada e di quella di molti con cui condivido la nostalgia per un tempo diverso e per gli amici di quel tempo, quelli purtroppo persi e gli altri che si sono persi da sé. Leggere e restare in silenzio dentro una storia è una buona pratica, almeno per me.

Nell’immagine d’apertura presa dal web Palazzo Donn’Anna a Napoli, nel romanzo è Palazzo Medina. In uno degli appartamenti risiedeva la famiglia La Capria negli anni dell’adolescenza di Raffaele e qui “vive” anche Massimo De Luca, il protagonista del libro.

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