Come tutti quelli che hanno un sito, un blog da aggiornare, anch’io ho sempre da parte qualche breve articolo pronto all’uso, da pubblicare quando vado di corsa e non ho tempo per scrivere qualcosa di nuovo. Da poco avevo ripreso ad attingere al magazzino dei post senza problemi, poi è arrivata l’ultima tempesta, quella più grossa persino della pandemia: guerra e morte.

Ora argomentare su qualsiasi tema mi pare inadeguato e fatico a superare il disagio per certi commenti da bar, o meglio da social, che pure ascolto mentre scrivo al computer in una stanza ben riscaldata, seduta su una comoda sedia ergonomica con il sostegno lombare e la regolazione dell’altezza della seduta. Quando ho voglia bevo un caffè o una tisana, sgranocchio mandorle e, tra un capitolo e l’altro del libro che ho in corso, mi interrogo su cosa cucinare per il pranzo.

C’è un che di osceno nello stile di vita che manteniamo perfino se in qualche modo diamo una mano ai disgraziati senza più casa né cibo che scappano a piedi, intere famiglie con gli animali al seguito. Eppure andiamo avanti e la sera ci addormentiamo nel lusso di lenzuola pulite indossate da materassi dotati di topper in memory; stirandoci nel letto rivolgiamo ancora un pensiero a quei poveretti sotto le bombe e all’insostenibilità della loro situazione. E quanto volte, prima, ci siamo ricordati con eguale intensità delle altre popolazioni vittime di un conflitto in un teatro di guerra molto più lontano da noi?

Accidenti quanto abbiamo sbagliato e come continuiamo a sbagliare! Ed è sempre così.

Non si temevano ricadute barbariche come le guerre tra popoli europei, così come non si credeva più alle streghe e ai fantasmi; i nostri padri erano tenacemente compenetrati dalla fede della irresistibile forza conciliatrice della tolleranza. Lealmente credevano che i confini e le divergenze esistenti fra le nazioni o le confessioni religiose avrebbero finito per sciogliersi in un comune senso di umanità, concedendo così a tutti la pace e la sicurezza, i beni supremi“. — Cit. da Il mondo di ieri Ricordi di un europeo, un’opera autobiografica dello scrittore austriaco Stefan Zweig, pubblicata per la prima volta nel 1941.

Su un altro libro dello stesso autore, L’amicizia è la vera patria di Joseph Roth e Stefan Zweig, avevo scritto un post nel maggio 2019 – lo trovate qui -. L’ho appena riletto e mi sono stupita per il mal di pancia che già avvertivo prima della pandemia. Non ricordavo che il mio disagio per il marcio in cui viviamo fosse già così acceso. È una pura constatazione, non c’è vanto in ciò che sostengo. Io sono come tutti gli altri e nella sostanza del modo in cui vivo non ho cambiato niente, ne sono consapevole, critico e faccio autocritica e non riesco a restare indifferente. Cerco, non so bene cosa, forse la chiave per uscire da questo stallo. Le colpe però, quelle restano e continuano a pesare mentre giriamo le pagine del calendario.

Immagine d’apertura Pixabay License

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