Da qualche giorno girano in rete alcune indiscrezioni sulla collaborazione tra il ghostwriter di “Spare” J. R. Moehringer e il suo narratore/autore, il principe Henry; il loro rapporto è durato due anni, un lasso di tempo in cui, com’è ovvio, ci sono stati anche alcuni momenti di frizione. Lo racconta lo stesso Moehringer in un articolo pubblicato sul New Yorker in cui dice molte cose interessanti su come ha iniziato il lavoro di scrittore fantasma e sul modo in cui vive questo ruolo. Ne consiglio la lettura a tutti coloro che stanno progettando di intraprendere il meraviglioso viaggio di scrivere “la storia della vita” condividendo tale avventura con uno scrittore.

Io mi sono riconosciuta in diversi aspetti del lavoro di ghostwriter così come lo descrive Moehringer. In particolare quando affronta il momento in cui i narratori devono prendere atto di ciò che anticipo loro già prima della firma del contratto, quando spiego che “ciò che fa di una storia proprio quella storia che vale la pena di raccontare è la scelta degli eventi significativi all’interno della serie ipoteticamente infinita di fatti che compongono ogni esistenza”. In sintesi voglio accertarmi che i narratori siano consapevoli di questo punto: non tutto ciò che mi confideranno entrerà nel libro, altrimenti avremmo un racconto cronachistico e non un romanzo ispirato alla loro vita. La struttura della storia dovrà essere efficace e coinvolgente per dei lettori che non siano solo gli amici e i parenti e per questo dovrò operare una selezione accurata degli eventi e dei personaggi adatti a costituire il corpo narrativo. Più o meno è questo il succo del mio discorso, e non è diverso da ciò che J. R. Moehringer scrive di avere detto al principe Henry quando insisteva per non tagliare un dettaglio inutile, se non peggiorativo dal punto di vista letteraria, ma a lui caro:

“… per quanto strano possa sembrare, il libro di memorie non riguarda te. Non è nemmeno la storia della tua vita. È una storia scolpita nella tua vita, una particolare serie di eventi scelti perché hanno la massima risonanza per la più ampia platea di persone…”

L’approccio di Moehringer nei confronti degli aspiranti autori che lo contattano è in parte diverso dal mio, del resto sono differenti i contesti in cui operiamo, tuttavia mi piace quando precisa: “Ricordo a chi mi interpella che il ghostwriting è un’arte” perché afferma una verità inconfutabile per chi scriva le storie degli altri con passione e con impegno. Non basta saper scrivere per diventare uno scrittore fantasma, occorre saper leggere oltre le parole di chi racconta la propria storia, bisogna saper fare le domande giuste, saper condividere certi silenzi e altro ancora.

Moehringer sceglie le storie e le persone con cui lavora con grande accuratezza, non produce in modo seriale, ha bisogno del giusto tempo. È fondamentale perché un ghostwriter deve appassionarsi alla scrittura di un libro che, anche se non racconta la sua storia, sentirà suo tanto quanto apparterrà al narratore. Alla fine il libro, quel libro, è qualcosa che non esisterebbe in quella forma se i soggetti in causa non collaborassero con il giusto spirito alla sua creazione.

L’articolo si chiude con la figlia di Moehringer che chiede al padre “Cos’è il ghostwriting?». La piccola ha cinque anni e le piace disegnare. Il padre le risponde così: “Immagina se uno dei tuoi compagni di classe volesse esprimere qualcosa, ma non sapesse disegnare. Immagina se ti chiedessero di disegnare un’immagine al suo posto, per lui… Questo è ghostwriting”.

Più info:
New Yorker_Notes from Prince Harry’s Ghostwriter
J. R. Moehringer, Spare e il suo ghostwriter

 

Foto di Robert Armstrong da Pixabay

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