Le forme di collaborazione attivabili tra uno scrittore professionista e un narratore per la realizzazione di un libro che racconti esperienze di vita vissute, si esplicano in percorsi differenti di cui spesso ho scritto in questo sito. Nonostante ciò ora torno sull’argomento, strettamente correlato alla mia attività di ghost writer, per affrontare un aspetto particolare della questione autobiografica che pare scontato, e tuttavia tengo a chiarire: scrivere un romanzo autobiografico non equivale allo “scrivere di sé”, inteso in senso classico.

Come ho spiegato nel precedente post (lo potete leggere qui), la scrittura di sé è quella forma privata di scrittura che nasce da una spinta interiore, uno sfogo, un bisogno profondo che coglie molte persone a un certo punto della vita. Per soddisfare questa necessità non c’è che scrivere da sé la propria storia personale, conducendo una sorta di indagine esistenziale. Il percorso e il risultato di tale lavoro sono destinati a rimanere riservati.

La spinta a realizzare un progetto di scrittura che, pur riguardando la propria storia personale, sia fissato su carta per essere letto da altri, ha una connotazione diversa a partire dalle motivazioni che stanno alla base del voler raccontare il proprio vissuto.

L’idea di scrivere un libro, un romanzo autobiografico, un memoir, vede il narratore nei panni del protagonista; costui, pur condividendo magari in origine le motivazioni al raccontare di chi decida di scrivere da sé di sé, accarezza anche l’idea di far conoscere il proprio vissuto a un pubblico ampio, i lettori, di passare loro un messaggio, l’idea di controllo del libro, che diventa così un’opera letteraria. Il genere di opera che nasce da un’operazione di questo tipo resta da definire: talvolta è un romanzo autobiografico, altre volte si trasforma in un romanzo tout court. L’obiettivo finale di tanto impegno è quasi sempre quello di pubblicare, ma qualche narratore, una minoranza, ha motivazioni diverse, talvolta molto particolari, e conserva comunque l’opera letteraria in forma privata.

Se il narratore non è anche uno scrittore, come accade nella maggior parte dei casi, e se può permetterselo dal punto di vista economico, avrà l’esigenza di rivolgersi a uno scrittore professionista per avviare una collaborazione il cui risultato sarà un libro, un’opera letteraria in grado di coinvolgere i lettori.

Nella scrittura mediata dal ghost writer, il narratore, colui che racconta la storia, e lo scrittore che la trasforma in romanzo, guardano al tema della verità da prospettive differenti.

Lo scrittore coltiva un rapporto privilegiato con la finzione letteraria e nella stesura di un romanzo autobiografico, o di un memoir, la utilizza, ove necessario, per collegare e strutturare l’architettura/impianto della storia, pur mantenendo la veridicità dei fatti principali vissuti dal narratore. La realtà continua a prevalere sulla finzione che pure, in relazione al modo di raccontare di ogni narratore e ai contenuti della storia, suggerisce nuove interpretazioni della verità, disegna contesti e cornici inediti e a volte supera, senza tuttavia mai prendere il sopravvento, i fatti reali. Unica eccezione è il caso in cui lo scrittore debba riempire quei vuoti dietro cui il narratore reticente, o pauroso, o peggio, decida di nascondersi. Perfino il silenzio, come certe evidenti bugie, parlano allo scrittore che tradurrà ogni elemento in pagine scritte, e l’interpretazione che ne darà forse aprirà nuove prospettive al narratore.

Il gioco a incastri di un libro in cui, come sempre, verità e menzogna si mescolano, riuscirà se alla fine tutti i pezzi andranno al loro posto, se il narratore saprà accettare “l’intruso”, lo scrittore, che violerà, magari infrangendolo, il suo personale specchio. L’immagine riflessa che il narratore troverà nel libro sarà diversa da quella che conosceva e, perché no, talvolta più nitida.

Se dietro il desiderio di scrivere di sé c’è una forte ambizione, invece di un’esigenza introspettiva, poco cambia alla fatica del raccontarsi. Rivivere la propria vita, o alcuni episodi di essa, trasferirla sulle pagine di un quaderno o in un file di word, significa comunque consegnarsi al potere della scrittura, per svelare e chiarire, anche a se stessi, la struttura della propria identità in una forma nuova. È un ottimo modo per scandagliare liberamente il rapporto che si ha con il tempo trascorso, con ciò che in esso è accaduto, per fare i conti con il proprio passato. È un lavoro che richiede, costanza, determinazione e coraggio perché rivivere con onestà certi episodi della vita è doloroso. Tuttavia è anche un mezzo efficace per rinascere e guardare al futuro con uno spirito diverso; è un’esperienza da fare a patto di disporre degli strumenti indispensabili per affrontarla in modo proficuo.

L’obbligo dello scrittore è raccontare bene una buona storia e farla vivere al lettore con soddisfazione; nello scrivere sarà libero da riguardi, o reticenze utili a compiacere il narratore. Sono un’esclusiva dello scrittore le scelte narrative di qualsiasi tipo, lui decide cosa debba stare dentro il libro, e come, e cosa, invece debba essere scartato.

Un bel salto nel vuoto per chi racconta, si deve fidare e affidare, ma anche per chi debba accogliere la storia e quasi sempre scopre che il narratore gli riserva più di una sorpresa inaspettata.

Qui mi soffermo con un inciso importante: lo scrittore e il narratore diventano una coppia destinata a vivere un rapporto molto intenso per parecchi mesi: tutto deve funzionare al meglio, il patto è chiaro, quindi ciascuno dei due deve essere attento nella scelta del rispettivo partner.
In genere il narratore arriva da me dopo avere fatto una ricerca in rete, o avere letto uno dei libri che ho scritto. Nel momento in cui ci conosciamo mi dà una sintesi della storia che intende raccontare, mi spiega perché la vuole tradurre in romanzo e cosa si aspetta dalla realizzazione di un simile progetto. Io ascolto e mi interrogo: c’è empatia? Potrò fidarmi di questa persona come narratore? Ci sono i presupposti per avviare un percorso di scrittura condiviso? Per superare i dubbi propongo ai potenziali narratori, almeno a coloro che trovo interessanti a un primo approccio, di incontrarci qualche volta su Skype, se di persona non è possibile, prima di decidere se procedere insieme nel progetto di realizzare un libro. Mi interessa verificare se ci siano le motivazioni sufficienti da ambo le parti per imbarcarci in un viaggio così speciale, inoltre è un modo per concedersi del tempo prima di fare una scelta tanto impegnativa.

Scrivere libri a quattro mani ispirati alla realtà è un’avventura che va affrontata con coraggio. Infatti i nostri scritti non finiranno chiusi nel fondo di un cassetto, al contrario vogliamo che le nostre storie vadano in giro per il mondo e siano in grado di farlo da sole, a testa alta

“Io credo soltanto nella parola. La parola ferisce,
la parola convince, la parola placa.
Questo, per me, è il senso dello scrivere”.
(Ennio Flaiano)

Chi sono coloro che desiderano scrivere da sé dei propri ricordi e chiudere le memorie in un cassetto? Ne ho parlato qui.

Immagine dal web: Il cortile dell’ orfanotrofio ad Amsterdam di Max Liebermann (1847 – 1935)

Per più info naviga il sito. Se vai di fretta comincia da qui:

E tu come la racconti la tua vita?

Scrivere per mestiere, con passione

I ricordi sono appesi a un filo

Scrivere un libro in due: io, ghostwriter, ascolto al tua voce

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